L’Artico, terra contesa e ricca di preziose materie prime, rappresenta un microcosmo delle sfide globali: i cambiamenti climatici, le ambizioni economiche e le tensioni geopolitiche si intrecciano in questa regione unica nel suo genere. Se sul fronte politico, perlomeno in Groenlandia, la controversia prosegue a suon di dichiarazioni provocatorie fra Danimarca e Stati Uniti, la sfida ambientale e climatica si muove a senso unico verso un punto di non ritorno. Prova ne è la fusione dei ghiacci artici che dall’inizio delle misurazioni, nel 1979, sono diminuiti mediamente del 13 % ogni decennio, con una forte accelerazione nell’ultima decade. In un recente articolo pubblicato dal National Snow and Ice Data Center dell’Università del Colorado a Boulder, negli Stati Uniti, si legge che a gennaio 2025 la superficie dei ghiacci dell’Oceano Artico ha registrato un nuovo record negativo, secondo solo al dato registrato nel 2018 nello stesso mese.
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Grafico (1979 - 2025) dell'evoluzione della superficie dei ghiacci nell'oceano Artico durante il mese di gennaio. La diminuzione è costante, con picchi negativi nel 2025 e nel 2018.
L’effetto di amplificazione artica
A spiegare la rapidità di fusione dei ghiacci nel circolo polare artico non c’è soltanto il riscaldamento climatico globale provocato dalle attività umane, ma anche il cosiddetto “effetto di amplificazione artica” che fa sì che nelle regioni più a nord della Terra la temperatura cresca dalle due alle quattro volte più velocemente rispetto al resto del pianeta. Un fenomeno associato all’effetto albedo che “si verifica quando vi è una differenza nell’assorbimento di luce solare, e quindi di calore, da una superficie chiara oppure scura”, ci spiega Tessa Viglezio, biologa ticinese responsabile della base artica italiana del Cnr alle Svalbard, ospite nella recente puntata “Viaggio nel grande Nord” del Giardino di Albert. In altre parole, le temperature più alte provocano uno scioglimento di neve e ghiacci, che lasciano spazio a superfici scure, come il terreno o l’acqua dell’Oceano Artico, superfici che notoriamente assorbono di più il calore. “Questo genera un circolo vizioso, perché più la neve e il ghiaccio si sciolgono, più la temperatura aumenta”, aggiunge Tessa Viglezio. Questo processo potrebbe portare alla scomparsa totale dei ghiacci artici nel periodo estivo entro il 2050, ma probabilmente anche prima: secondo gli ultimi studi, questo potrebbe avvenire già nel prossimo decennio.
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Il dietro le quinte delle riprese del Giardino di Albert con Christian Bernasconi e la biologa ticinese Tessa Viglezio
Le conseguenze sull’uomo e sulla fauna
Quando parliamo di scioglimento dei ghiacci artici, l’impatto principale a cui pensiamo è l’innalzamento dei mari; tuttavia, questa non è la sola conseguenza. La fusione dei ghiacci e lo scongelamento del permafrost liberano nell’atmosfera anidride carbonica e metano, alimentando il riscaldamento globale. La perdita di ghiaccio marino riduce inoltre la protezione delle coste dall’impatto delle onde, e questo ne provoca l’erosione, con ripercussioni sulle comunità che abitano le zone affacciate sul mare. Cambiamenti che, ci spiega Tessa Viglezio, sono già osservabili a occhio nudo: “a causa del ritiro dei ghiacci, la carte nautiche di cinque anni fa sono obsolete e necessitano costantemente di aggiornamenti”.
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Durante il mese di gennaio 2025 in alcune aree dell'Artico, come la Groenlandia e l'Alaska, è stata registrata una temperatura di 8°C superiore alla media.
Conseguenze pericolose possono registrarsi anche sugli animali artici che dipendono dal ghiaccio marino, come le foche e gli orsi polari, dicono i ricercatori. Inoltre, con il riscaldamento dell’atmosfera, si presentano sempre più di frequente i cosiddetti eventi di “rain on snow”, letteralmente, “pioggia sulla neve”: “le temperature più alte portano a una maggior evaporazione dell’acqua, e di conseguenza a più precipitazioni. La pioggia cade sul manto nevoso, e il successivo abbassamento delle temperature provoca uno strato di ghiaccio che impedisce alla fauna selvatica di mangiare”, racconta la biologa ticinese, che all’avifauna delle Svalbard ha dedicato la sua tesi di master.
Non è tuttavia solo l’atmosfera a riscaldarsi: anche le acque marine registrano un innalzamento della temperatura. Nella Norvegia settentrionale, molti pesci marini stanno spostando le loro aree di riproduzione più a nord, verso acque più fredde. Questo ha delle conseguenze, ad esempio, sugli uccelli marini che, non trovando più da mangiare, perdono habitat preziosi. Al contempo, i ricercatori temono che pesci non autoctoni possano trasferirsi nell’Oceano Artico. L’impatto di queste specie invasive sugli ecosistemi locali non è ancora chiaro.
Le ali del Nord
RSI Info 24.12.2024, 12:49
Un Oceano Artico più caldo e libero dai ghiacci avrà inoltre degli impatti sulle correnti marine e porterà a cicloni più violenti e ondate di calore più intense, anche sull’Europa. Gli esperti stanno già osservando inoltre modifiche nella corrente a getto polare, un’area di forti venti a circa 8-11 km di altitudine che condiziona la metereologia globale e che dipende dalle differenze di temperatura fra i tropici e l’Artico. Se il gradiente di temperatura fra poli ed equatore si modifica, anche gli eventi metereologici ne risentono, con conseguenze al momento imprevedibili.
La ricerca guarda al futuro (e dimentica il passato)
Con la sparizione dei ghiacci artici, svanisce anche la possibilità per la ricerca di indagare le condizioni climatiche del nostro passato. Gli strati di ghiaccio sono infatti una sorta di manoscritto antico che gli scienziati sono in grado di interpretare per ricostruire la storia del nostro pianeta. Di recente, un gruppo di ricercatori europei e svizzeri ha estratto un campione a 2’800 metri di profondità nell’Antartide che consentirà di indagare il nostro passato climatico fino a 1,2 milioni di anni fa. Informazioni che serviranno anche a migliorare i modelli e le proiezioni del clima del futuro.
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Ghiaccio dal passato
Telegiornale 12.01.2025, 12:30
La sola via di scampo dagli scenari più estremi, ricordano gli esperti, è quella di limitare le emissioni di combustibili fossili. Nel frattempo, il mondo scientifico sta intensificando i programmi di ricerca per fornire un monitoraggio sempre più accurato di queste aree delicate. Accanto a progetti già esistenti, come quello a cui partecipa la ticinese Tessa Viglezio che dalla stazione di ricerca a Ny Alesund alle Svalbard contribuisce insieme ad altri nove Paesi allo studio del cambiamento climatico nell’Artico, nuovi ne arriveranno. Fra i più sorprendenti, c’è la Stazione Polare Tara, un laboratorio galleggiante che rimarrà alla deriva nell’Artico dal 2026 al 2045 per migliorare la conoscenza scientifica di questa regione, nella consapevolezza che ciò che accade qui, è strettamente connesso con la vita di ognuno di noi.
Nel 2026 la Stazione Polare Tara ospiterà la prima di dieci spedizioni della durata di circa 18 mesi ciascuna in cui saranno coinvolti scienziati ed esperti da tutto il mondo.