Fare i conti con la propria esistenza. È quello che fanno i protagonisti di due film tanto diversi come Heart of a Dog di Laurie Anderson e Remember di Atom Egoyan, in concorso alla Mostra di Venezia.
Attraverso un documentario realizzato dopo la morte della cagnolina Lolabelle, la vedova di Lou Reed non solo elabora il lutto ma ripercorre la sua vita, tira fuori le proprie convinzioni, cita le suggestioni che negli anni l’hanno influenzata, fra gli altri: Wittgenstein, Goya, David Foster Wallace, la religione buddista.
Neanche a dirlo il film di un’artista come la Anderson che si è espressa in quasi ogni forma d’arte - musica, pittura, teatro, cinema – ha uno spessore, un sentimento (come nelle sequenze che si riferiscono al momento in cui Lolabelle diventò cieca e la padrona iniziò a farla dipingere e suonare il pianoforte) e una bellezza (le immagini sono spesso sovrapposte e si alternano a filmati d’epoca come quelli dei giovani Lou Reed, Julian Schnabel e della stessa Laurie bambina) rari.
Incontro con Laurie Anderson
RSI 12.09.2015, 09:56
Dal particolare all’universale, dal documentario alla fiction, il maestro canadese Egoyan in
Remember affronta addirittura l’Olocausto partendo dalle vicende, ai giorni nostri, di due ultranovantenni: Zev (Christopher Plummer) e il suo compagno di ospizio Max (Martin Landau), che vogliono vendicare l’uccisione dei loro familiari nel campo ad Auschwitz.
Il loro obiettivo é quello di trovare (un po’ come faceva il personaggio di Sean Penn in This Must Be the Place di Paolo Sorrentino) e uccidere l’ufficiale nazista colpevole di quel gesto.
Ma Zev è affetto da demenza senile e ad ogni risveglio non ricorda gli accadimenti recenti: così l’amico gli organizza il viaggio di ricerca attraverso gli States fornendogli una lettera, per sostituire la memoria breve, in cui gli spiega le varie fasi della sua missione. Zev trova infine l’uomo che cercava ma un colpo di scena finale mette lui e lo spettatore di fronte ad una sconvolgente verità. Un film ben costruito, recitato e scritto, che ci pare un goccio troppo mainstream per la competizione veneziana. Ai giurati l’ardua sentenza.
Francesca Felletti