Alla Mostra di Venezia è il giorno (fuori concorso) del cuore impavido Mel Gibson, che porta un film tondo e morale dei suoi.
Sì, è il ritratto/santino eccessivamente edulcorato della storia vera di Desmond Doss. Sì, pecca di eccessi di retorica e di esaltazione americana. Ma Hacksaw Ridge incolla lo spettatore alla sedia non tanto per il racconto di una battaglia contro i giapponesi nella seconda guerra mondiale, quanto per la descrizione della lotta di un ragazzo per i suoi principi morali.
Doss si arruolò – sembra una contraddizione in termini – come obiettore di coscienza. Voleva servire il suo Paese ma senza imbracciare nessun’arma, per portare cure e soccorso ai soldati feriti sul campo di battaglia. Dopo una lunga opposizione dei militari che si rifiutavano di mandarlo in prima linea senza che sapesse sparare, ci riuscì e la prima missione assegnatagli gli fruttò la medaglia d’onore per avere recuperato e salvato 75 soldati feriti senza mai sparare un colpo.
Per il catalogo Mel Gibson ha mandato a Venezia una foto senza la lunga barba ostentata sul red carpet
La firma del regista attore americano che vinse l’Oscar con Braveheart appare evidente sia dal punto di vista stilistico (piuttosto magniloquente), sia nella scelta di un protagonista (magnificamente interpretato da
Andrew Garfield) profondamente cattolico.
Il dubbio che sorge spontaneo è su come in un film così ideologicamente contrario alla guerra possa esserci un tale evidente compiacimento nella costruzione di interminabili scene di battaglia con ogni arma e strategia di quel periodo storico.
Andrew Garfield interpreta l'eroe disarmato Desmond Doss
Sui titoli di coda, le testimonianze di repertorio (Desmond Doss è morto 10 anni fa) dei veri protagonisti degli eventi raccontati, fra cui la frase di Doss magistralmente inserita anche nel film che racconta di come il suo unico pensiero durante una battaglia fosse la preghiera a Dio di riuscire a salvare ancora un ferito.
Francesca Felletti