Intervista

“Le generazioni non esistono”

Il concetto non è scientificamente valido e si basa sulla tendenza umana di identificarsi in un gruppo, secondo un professore di sociologia

  • Ieri, 06:52
  • Ieri, 06:52
309518817_highres.jpg

La data di nascita spiega ben poco, secondo l'esperto

  • Keystone
Di: Ivan Lieberherr (SRF)/sf

La “Generazione Z”, i nati tra il 1995 e il 2010, è stata accusata di molte cose: effeminati, viziati e svogliati, ma esigenti per quanto riguarda le apparenze. Ma si possono fare delle generalizzazioni sulle persone in base all’anno di nascita? No, secondo il professore di sociologia Martin Schröder dell’Università del Saarland, intervistato da SRF. Questo concetto di generazione, sostiene, non è scientificamente sostenibile.

Perché non esistono le generazioni (Echo der Zeit, SRF, 11.08.2024)
Martin Schröder

Professore di sociologia, con specializzazione sull’Europa, all’Università del Saarland, conduce ricerche su disuguaglianza sociale, stato sociale, varianti del capitalismo, sociologia economica, generazioni, moralità e soddisfazione della vita.

SRF News: Quali sono le ragioni per cui rifiuta il concetto di generazione?

Martin Schröder: Quando si parla di generazioni, il concetto dovrebbe essere statisticamente verificabile. Devo essere in grado di spiegare gli atteggiamenti delle persone in base al loro anno di nascita, indipendentemente da quando viene fatta la domanda e dall’età che hanno. Quindi chi è nato negli anni ‘80 avrà un certo atteggiamento non solo nel 2000, ma anche nel 2020. Ma l’ipotesi di poter spiegare come pensano le persone sapendo quando sono nate non è confermata da grandi sondaggi.

Quindi non esistono la Generazione Z, la Generazione Y, i millennial e i baby boomer?

In definitiva, sì. Il problema è che questo non si può spiegare con la data di nascita, ma con gli effetti dell’età. Quando dico che i giovani di oggi vogliono lavorare meno di un tempo, è perché i giovani hanno sempre voluto lavorare meno. A differenza di quanto accade forse a 45 anni, quando si deve finanziare una famiglia o una casa.

Inoltre, oggi tutti vogliono lavorare meno di prima. Ma non c’entra nulla con le generazioni, perché siamo tutti cambiati. Posso tranquillamente dire che i cinquantenni vogliono lavorare meno di prima. Allora ha più senso dire: i giovani sono diversi dagli anziani. Siamo tutti diversi da come eravamo.

Quindi gli atteggiamenti dipendono dall’età delle persone e non dalla generazione a cui appartengono. I giovani pensano in modo diverso dagli anziani?

Tutti pensiamo in modo diverso rispetto al passato. Suppongo, ad esempio, che a 20 anni uscivate più spesso di quando ne avevate 45. Questo sarebbe un tipico effetto dell’età. Per esempio, se negli anni ‘80 si fosse chiesto se agli omosessuali dovesse essere permesso di sposarsi, molte persone sarebbero state scettiche. Oggi, molti lo immaginano bene. Questo sarebbe un effetto del periodo. Statisticamente, si può notare che gli atteggiamenti possono essere spiegati da questo effetto età e periodo, che si può anche chiamare spirito del tempo. Se si eliminano questi effetti, non rimane molto che possa essere spiegato solo dall’anno di nascita.

Sui social si trovano spesso giovani che si lamentano dell’elevato carico di lavoro, o manager che si lamentano dell’atteggiamento dei giovani nei confronti del lavoro. Sono solo casi isolati?

Se si dovessero intervistare costantemente i cinquantacinquenni, ci si renderebbe conto che non hanno più voglia di lavorare come una volta. Ma c’è un’altra ragione: se come lavoratore hai un mercato del lavoro con un basso tasso di disoccupazione, allora puoi chiedere molto perché troverai comunque un buon lavoro.

Questo spiega l’atteggiamento esigente della presunta Generazione Z con un basso tasso di disoccupazione. Tuttavia, se la disoccupazione aumentasse, molto rapidamente non avremmo più una Generazione Z e il presunto effetto generazionale scomparirebbe.

Se questo concetto di generazione non è scientificamente sostenibile, perché viene utilizzato così spesso?

In termini evolutivi, tutti noi vogliamo sentire di appartenere a un gruppo. Lo dimostra il fatto che l’appartenenza a un gruppo è molto importante come uomo o donna o come svizzeri o addirittura come generazione. La nostra appartenenza a una generazione è quindi alimentata dall’interesse a valorizzare il nostro gruppo e a svalutare gli altri gruppi. Ma se lo facciamo con categorie come il genere o l’origine, questo viene visto come sessismo e razzismo.

L’articolo originale è stato pubblicato da SRF e tradotto dalla redazione di “dialogo”, un’offerta della SSR che propone contenuti da tutta la Svizzera tradotti in tutte le lingue nazionali e in inglese, oltre a uno spazio di dibattito, anche questo tradotto e moderato.

DialogoLogo

SSR "dialogo"

Le nuove generazioni riscoprono la musica del passato

Un' ora per voi 14.07.2024, 13:00

  • Martin Schröder
  • Università del Saarland

Ti potrebbe interessare