Storia

La guerra appena oltre il confine ticinese

Come un soldato alla frontiera meridionale e una scrittrice a Comologno hanno vissuto la Seconda guerra mondiale tra rifugiati ebrei e contrabbandieri

  • Ieri, 05:38
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Erwin Naef a guardia della frontiera con l'Italia nel settembre 1943

  • SRF
Di: Stephanie Elmer (SRF)/sf 

Il caos della Seconda guerra mondiale in Ticino era molto vicino, con l’Italia fascista di Mussolini appena oltre il confine. Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio del 1943, l’Italia capitolò all’inizio di settembre dello stesso anno. La Wehrmacht occupò quindi l’Italia settentrionale e iniziò la deportazione degli ebrei dalla regione da parte dei nazisti.

Il caos della guerra non si è fermato al confine, ma è arrivato anche in Svizzera, come testimoniano le esperienze di Erwin Naef e Aline Valagin. Il militare, a guardia della frontiera con l’Italia, e la scrittrice, nel suo palazzo a Comologno, probabilmente non si sono mai incontrati di persona. Per entrambi, tuttavia, il confine ha svolto un ruolo formativo durante gli anni della guerra.

Erwin Naef doveva sorvegliare la frontiera e respingere le persone in cerca di protezione. Aline Valagin è stata un’osservatrice silenziosa di un villaggio di confine dove arrivavano contrabbandieri, partigiani e rifugiati. Entrambi hanno offerto rifugio: Naef a famiglie ebree e Valagin a un’avanguardia intellettuale approdata in un paese di montagna.

Lettere dalla frontiera

La carta è ingiallita, la calligrafia è ordinata. Sono lettere della Seconda guerra mondiale, datate settembre 1943, al confine meridionale della Svizzera. L’autore: Erwin Naef, primo tenente di Rorschach. Lui e i suoi soldati vengono inviati alla frontiera per aiutare le guardie di confine ticinesi. Da lì scrive a sua moglie Alice.

Testimonianze dal confine (Schweiz aktuell, SRF, 17.03.2025)

Naef aveva trent’anni, orgoglioso membro dell’esercito, “il servizio è estremamente interessante”, scriveva. Era anche una persona di fede, uno che si poneva elevati standard morali ed etici, impegnato socialmente. Quando si è trovato al confine con l’Italia nel settembre 1943, questi aspetti entrano in conflitto.

Stralci delle lettere del primo tenente Erwin Naef

“Mia carissima moglie, grazie a Dio ieri sono stato sollevato dall’incarico. Ora sono in riserva. La settimana scorsa ho vissuto la cosa più triste che mi sia mai capitata nella vita” si può leggere in una delle sue lettere.

Ho vissuto la cosa più triste che mi sia mai capitata nella vita

Erwin Naef

Naef e i suoi soldati incontrano rifugiati ebrei in un terreno impervio, “erano per lo più fuggiti dai campi tedeschi e, dopo indicibili sofferenze, si erano in qualche modo infilati in un buco nella recinzione di filo spinato al nostro confine, crollando poi per la stanchezza”.

Le lettere offrono uno sguardo su giorni drammatici, i tentativi di Naef di ottenere dai suoi superiori il permesso di accogliere le famiglie ebree falliscono. L’ordine è “fuori con la forza”.

“Ancora una volta”, scrive Naef, “ordinai ai soldati di procedere con l’espulsione usando la forza. Breve colluttazione e terribili urla di donne e bambini. Questo fu troppo anche per il maggiore. Le lacrime scorrevano sulle sue guance. Io stesso mi ero già voltato più volte per asciugare le lacrime”.

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Erwin Naef a guardia della frontiera con l'Italia nel settembre 1943

  • SRF

Le lettere sono state trovate circa dieci anni fa, molto tempo dopo la morte di Naef. E anche dopo l’esame da parte della Commissione Bergier sulla rigida politica sui rifugiati della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale.

Le lettere sono di grande interesse per gli storici: non esisteva una fonte paragonabile che documentasse la prospettiva dei soldati alla frontiera. Il fatto che Naef indirizzasse le lettere alla moglie, le rende personali, intime, mostrando il suo conflitto interiore. Ed erano scritte la sera stessa, prima che i ricordi potessero essere distorti dal passare del tempo.

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Arzo, 1943

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Le lettere documentano anche come Naef riuscì comunque a far entrare famiglie ebree in Svizzera: “Ho immediatamente telefonato al sindaco di Pedrinate per chiedere l’aiuto della Croce Rossa. In un quarto d’ora sono arrivate quattro ragazze del Servizio ausiliario femminile con le fasce della Croce Rossa e una barella. La capa, una ragazza di 21 anni, figlia della mia padrona di casa, ha dato tutte le disposizioni necessarie. I miei soldati hanno portato i malati uno dopo l’altro nella locanda”. L’ufficiale sfruttò al massimo il suo margine di manovra, senza disobbedire agli ordini, senza però mettere a tacere il conflitto interiore.

Un palazzo in fondo alla Valle Onsernone

Alla fine degli anni ‘20, la futura scrittrice Aline Valagin arriva per la prima volta in Valle Onsernone, a Comologno, per acquistare un antico palazzo con suo marito. Lo scrittore italiano Ignazio Silone scriverà in seguito parte della sua opera Fontamara in questo palazzo, definendolo “l’Arca di Noè”. Una definizione che calza a pennello, sotto molti aspetti.

Il palazzo e i suoi occupanti

Il palazzo era conosciuto come “della Barca” dalla gente della valle per le sue origini. Nel XVIII secolo, un giovane della regione si era trasferito a Parigi e aveva acquistato una nave mercantile scomparsa. Un fatto non insolito all’epoca, dato che una nave che non arrivava in porto quando era attesa, veniva spesso venduta dai proprietari. Tuttavia, la nave del ticinese alla fine arrivò in porto, rendendolo ricco. Tornato nella valle, fece costruire un palazzo nella migliore posizione.

“Arca di Noè” è appropriato anche perché la scrittrice Valagin e suo marito crearono nel palazzo un rifugio per intellettuali esiliati da tutta Europa prima e durante la guerra. Un’avanguardia intellettuale e un mondo parallelo surreale rispetto alla vita altrimenti modesta della valle, che le donne spesso dovevano gestire da sole perché gli uomini erano sotto le armi. Entrambi i mondi erano segnati dalla guerra.

La guerra in un romanzo (Schweiz aktuell, SRF, 17.03.2025)

Valagin, pianista e poi psicoanalista formata da Jung, iniziò a scrivere a Comologno, diventando l’osservatrice silenziosa della valle. Nel suo libro “Villaggio di confine”, descrive come contrabbandieri, rifugiati e partigiani attraversavano la frontiera e in cerca di rifugio nel paese. Appena oltre il confine, vicino ai Bagni di Craveggia, che verso la fine della guerra facevano parte della Repubblica partigiana dell’Ossola, ci fu un sanguinoso scontro tra i partigiani in fuga e i loro inseguitori. Fatti che Valagin incorpora nel suo racconto.

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Descrive anche in modo crudo i rifugiati ebrei che cercavano protezione e spesso venivano rimandati indietro: “I due rifugiati ebrei avevano dato il via. Erano stati i precursori del flusso di rifugiati che ora si riversava dalle montagne. Entravano singolarmente o in gruppi, con molti bagagli o stracci logori, mezzi congelati e affamati, pieni di ferite, incapaci di spiegarsi, folli. Al confine, le guardie non sapevano come gestire la situazione, ‘Le persone cadono dalle montagne come cascate quando piove’, si lamentava Bozzi, ‘scivolano tra le dita’”.

Testi che mostrano come la Seconda guerra mondiale fosse onnipresente come un fantasma in Valle Onsernone. Una testimonianza interessante dell’epoca, anche perché il libro è stato stampato solo negli anni ‘80. Immediatamente dopo la guerra, le osservazioni erano probabilmente un po’ troppo critiche.

I negoziati segreti in Ticino

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Ascona, 19 marzo 1945: da sinistra il maggiore svizzero Max Waibel con i due generali alleati L.L. Lemnitzer, USA, e Terence Airey, Gran Bretagna

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Alla fine della Seconda guerra mondiale, il Ticino ha giocato un ruolo importante: il 18 e 19 marzo 1945 ad Ascona c’è stato un incontro segreto. Oggi è noto come “Operazione Sunrise” o “Operazione Crossword” e ha riunito attorno allo stesso tavolo rappresentanti di alto rango delle potenze belligeranti. Un gruppo, di cui facevano parte anche mediatori svizzeri, che ha negoziato la resa delle forze tedesche nell’Italia settentrionale.

Karl Wolff, il più alto comandante delle SS e della polizia in Italia, era d’accordo con una resa incondizionata e fece molte concessioni. Ad esempio, il rilascio di diversi importanti leader partigiani. In cambio, avrebbe dovuto ricevere la garanzia verbale di un’assoluzione nei futuri processi per crimini di guerra.

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RG 07.00 del 18.03.2025: Il servizio di Gianluca Olgiati sull’antisemitismo in Svizzera

RSI Info 18.03.2025, 07:00

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