Economia e Finanza

Le criptovalute crollano, ma in Svizzera ci si crede ancora

Per il settore è l'occasione di fare piazza pulita; il CTO di Tether Paolo Ardoino a SEIDISERA: "Siamo una realtà seria, le riserve sono nelle banche alle Bahamas"

  • 25 giugno 2022, 09:05
  • 23 giugno 2023, 20:39
09:45

SEIDISERA DEL 25.06.2022 L'approfondimento di Francesca Calcagno e Alan Crameri

RSI Info 25.06.2022, 10:44

  • Reuters
Di: SEIDISERA/Francesca Calcagno e Alan Crameri 

C'è chi lo ha definito un bagno di sangue. C'è anche chi arriva a teorizzare la fine dell'intero sistema. Il crollo in marzo di TerraUSD ha generato un vero e proprio tsunami nel mondo delle valute digitali. Il Bitcoin, fra le più conosciute, oggi vale circa 20'000 dollari, alcuni mesi fa ne valeva 70'000. Decine di valute minori sono addirittura sparite.

Christian di Giorgio, consulente presso l’azienda INACTA nella "criptovalley" di Zugo, è ottimista perché oggi "il mercato è più maturo e ci sono aziende molto più solide, i progetti seri vanno avanti". Ci sono però difficoltà: qualche investitore ha congelato i fondi su alcuni progetti mirati, perché la valuta con cui lavoravano è crollata. Ma cosa distingue un progetto serio da uno meno serio? Di Giorgio ci fa alcuni esempi. "Ci sono progetti che sono da tempo sul mercato hanno mostrato di avere un certo valore, mentre le società che sono saltate sul treno negli ultimi mesi, con poca sostanza, sono implose".

Tether

Tether, il partner del municipio di Lugano nel progetto "plan B", che si prefigge di far diventare Lugano capitale europea delle valute digitali, è conosciuta come la più famosa "stablecoin", una valuta digitale ancorata al dollaro o all’oro per garantirne la stabilità.

Alcuni analisti del settore ipotizzano che la sfiducia che mostrano gli investitori nei confronti delle criptovalute potrebbe far crollare l'intero sistema, Tether compreso.

La stessa Tether ha però retto il colpo durante tempesta che ha investito le criptovalute nella prima metà del 2022. È riuscita a restituire un totale di 7 miliardi di dollari in due giorni a coloro che, spaventati, hanno ritirato i propri soldi. Nonostante questo, ci sono molti articoli che mettono in dubbio la reale esistenza delle riserve in dollari di Tether che ne garantiscono la stabilità.

L’intervista al CTO di Tether Paolo Ardoino

Decine di articoli mettono in dubbio la reale esistenza delle riserve di Tether. Dove sono questi soldi?

"Gli 80 miliardi di dollari che fanno da controvalore alla nostra valuta digitale sono attualmente nelle nostre due più grosse banche bahamensi… anche se questi 80 miliardi di dollari sono oggi un po' meno, dopo lo spavento sui mercati (circa 67 miliardi ndr.)”.

E dove si trovano queste informazioni?

“Sono tutte informazioni pubbliche: se uno va sul nostro sito ed effettua tutto l’accesso a Tether può vedere dove sono depositati i soldi. Informazioni che, tra l'altro, forniamo trimestralmente al procuratore generale di New York per poter continuare a esercitare sul suo territorio”.

Ai giornalisti di CoinDesk è stato però negato l'accesso a queste informazioni, perché?

"Loro volevano l'accesso a tutti i dettagli di tutte le nostre controparti. Ripeto, ogni tre mesi noi diamo un aggiornamento a chi di dovere, non ci sembra corretto che dobbiamo essere l'unica società in questo campo a dover fornire tutte le informazioni ai giornalisti quando le altre non lo fanno."

E perché proprio le Bahamas, che non sono proprio un simbolo di trasparenza?

"Perché i fondi più grossi del mondo delle criptovalute hanno la loro entità alle Isole Vergini Britanniche e alle Bahamas. Anche buona parte della finanza tradizionale è su queste piazze, quindi non ci vedo niente di male".

E se mancasse la fiducia in Tether?

"Semplicemente ridaremmo tutti i soldi ai legittimi proprietari e sarebbe finita lì. Quindi non sarebbe un problema finanziario, sarebbe secondo me un peccato perché è uno strumento molto utile ma andremmo avanti lo stesso con altri progetti".

Chiasso: è stato soprattutto marketing

In Ticino, il primo comune a essersi dichiarato amico delle valute digitali è stato Chiasso, nel 2018. Da allora si possono pagare fino a 1'000 franchi delle proprie imposte in Bitcoin. Ne hanno però approfittato solo "un paio di persone" ci ha confermato il sindaco Bruno Arrigoni. L'operazione, lanciata ormai 4 anni fa, sembra dunque essere nata più con un intento pubblicitario che come una vera e propria volontà di crescere davvero in questo settore. "Sicuramente l'abbiamo intesa più come un'operazione di marketing. Volevamo segnalare il nostro interesse nei confronti delle nuove aziende del settore cripto. D'altronde dopo la caduta del segreto bancario dovevamo trovare delle nuove vie per mantenerci a un buon livello".

Impossibile per il sindaco Arrigoni anche fornirci dei dati sul numero di aziende del settore che si sono stabilite a Chiasso perché "nelle statistiche tutte finiscono nel calderone delle società finanziarie". È però ottimista sulla base delle imposte alla fonte passate da 3 milioni di franchi ai circa 7 milioni e mezzo di quest'anno (cifre provvisorie). "A Chiasso non abbiamo industrie, quindi questo è un dato positivo, nel senso che sono arrivate molte attività nel settore digitale".

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