Da giorni, l’annuncio di Mark Zuckerberg sull’abolizione del fact-checking negli Stati Uniti è al centro del dibattito pubblico, segnando una svolta significativa nelle politiche di moderazione dei contenuti di Meta. “Ripristineremo la liberà di espressione sulle nostre piattaforme”, ha dichiarato il fondatore di Facebook la scorsa settimana, spiegando che la decisione mira a ridurre gli errori e a semplificare i regolamenti. Ma la domanda che molti si pongono è: dobbiamo preoccuparci?
Una decisione controversa
Sì, secondo Silvia Giordano Cremonese, professoressa ordinaria in affidabilità e sicurezza delle reti d’informazione e della società alla SUPSI. “Anche se non mi aspetto un’ondata di fake news, il livello della comunicazione sui social media peggiorerà”. Il fact-checking, infatti, riusciva a bloccare le bufale, soprattutto in momenti delicati come le elezioni. Ora, invece, il rischio è che questi contenuti circolino liberamente, come accade su X dove il metodo delle Community Notes è già in vigore.
Il problema, secondo l’esperta, è aggravato dal rapido progresso dell’intelligenza artificiale: “Con strumenti avanzati come i modelli linguistici LLM (come ad esempio ChatGPT, ndr.), creare notizie false estremamente realistiche è sempre più semplice.” Al contrario, “questo rende più difficile, per un utente medio, distinguere tra vero e falso”.
Silvia Giordano Cremonese
Cos’era il fact-checking e perché viene abbandonato?
Il sistema di fact-checking, introdotto su Meta nel 2016, si basava sulla collaborazione con 90 organizzazioni indipendenti che analizzavano i contenuti in oltre 60 lingue. Professionisti come giornalisti o blogger verificavano la veridicità delle notizie, bloccando quelle false o provenienti da fonti poco affidabili. “Meta aveva cercato, a differenza di X, di creare una piattaforma dove le persone potessero comunicare in maniera tranquilla”, spiega Silvia Giordano Cremonese. Pur riconoscendo che il sistema non fosse perfetto, l’esperta sottolinea che “era comunque di qualità superiore rispetto alla direzione presa dall’azienda di Elon Musk”.
L’utente medio tende a preferire notizie manipolate, perché rispecchiano maggiormente i suoi gusti
Silvia Giordano Cremonese, professoressa ordinaria in affidabilità e sicurezza delle reti d’informazione e della società alla SUPSI
Zuckerberg, però, ha giustificato la sua scelta evidenziando i limiti tecnici del sistema: troppi errori e una percezione di censura che ha alienato una parte degli utenti. “Si tratta anche di una strategia politico-industriale quasi obbligata”, aggiunge la professoressa. Con il ritorno al potere di Donald Trump e il vento favorevole a un approccio meno regolato, l’amministratore delegato del gigante blu “si è allineato a piattaforme come X per garantirsi la sopravvivenza nel mercato statunitense. In Europa, invece, dovrà rispettare il Digital Services Act”, creando un doppio standard che “rischia di generare confusione”.
Democrazia a rischio social media
RSI Info 15.01.2025, 08:30
Un possibile rischio per chi fa informazione
La decisione di Meta, secondo Silvia Giordano Cremonese, potrebbe penalizzare anche i media che fanno informazione sui social network. Le fake news, infatti, risultano spesso più accattivanti rispetto alle notizie reali, che devono rispettare rigorosi criteri di veridicità e non possono essere distorte per attirare l’attenzione. “L’utente medio tende a preferire notizie manipolate, perché rispecchiano maggiormente i suoi gusti”, dice l’esperta.
Come difendersi?
L’antidoto, secondo la professoressa, è educare gli utenti a verificare le fonti: “Non fidatevi ciecamente di ciò che leggete sui social. Controllate l’origine delle notizie e confrontatele con i media tradizionali”. Solo così si potrà arginare l’impatto della disinformazione.
Meta, la marcia indietro di Mark Zuckerberg
Telegiornale 08.01.2025, 20:00