Se l’iniziativa diplomatica del ministro degli Esteri ucraino Dmitro Kuleba in Cina e le ripetute dichiarazioni del presidente Volodymyr Zelensky su una possibile road map che conduca alla pace hanno segnato apparentemente il cambio di linea da parte di Kiev, Mosca è rimasta scettica nei confronti delle aperture ucraine: confermando la salda alleanza con Pechino, ha liquidato per l’ennesima volta l’ipotesi di negoziati diretti che si basino sul piano ucraino del 2022. Per ultimo è stato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov a intervenire sulla questione, a margine della conferenza dell’ASEAN in Laos, e a specificare che la formula in dieci punti presentata da Zelensky un anno e mezzo fa non può essere presa in considerazione per eventuali future trattative.
Posizioni inconciliabili
Il capo di Stato ucraino era intervenuto ribadendo a sua volta che entro novembre dovrebbe essere pronto un piano d’azione per arrivare alla pacificazione. Zelensky nelle ultime settimane ha parlato di una seconda conferenza, dopo quella di giugno al Bürgenstock, con la possibile partecipazione della Russia, da tenere sempre entro la fine dell’anno, con l’obbiettivo di giungere a una fase meno calda del conflitto. Se da una parte è apparso evidente il mutamento di approccio ucraino e il tentativo di allacciare il dialogo con Mosca, la vaghezza delle esternazioni della leadership di Kiev ha suscitato irritazione e dubbi al Cremlino e dintorni.
Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, dopo la visita di Kuleba in Cina, ha affermato che la Russia si attende dettagli concreti sui contenuti di possibili negoziati, ricordando che al momento le posizioni ufficiali appaino ancora inconciliabili; la portavoce di Lavrov, Maria Zakharova, ha espresso dubbi sulla reale volontà ucraina di avviare un dialogo, e lo stesso ministro degli Esteri russo ha stroncato appunto ogni speranza di avvicinamento, almeno al momento.
Prima visita di Kuleba in Cina
Telegiornale 24.07.2024, 20:00
Proposta russa
Allo stato attuale è valida per Mosca la proposta formulata da Putin a ridosso della conferenza in Svizzera di metà giugno, quando il presidente russo ha chiarito in sostanza che la Russia è disposta a trattare la pace se l’Ucraina rinuncerà alle regioni ora sotto controllo russo, tra il Donbass e la Crimea, e Kiev non entrerà nella NATO. La proposta non è mai stata formulata in maniera ufficiale, ma è comunque antitetica a quella di Zelensky, che nel suo piano in dieci punti prevede colloqui solo dopo il ritiro russo dalle regioni occupate e mantiene come obbiettivo proprio quello di respingere i russi oltre i confini del 2014. Mentre sul campo la Russia continua a mantenere l’iniziativa e l’Ucraina non pare in grado di poter ribaltare la situazione, se non in tempi lunghi, il coltello dalla parte del manico sembra averlo Putin e conseguente è dunque il niet ad ogni tipo di proposta che non tenga in considerazione lo status quo e le richieste del Cremlino.
Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov
Screzi interni
A favorire la Russia è in questa fase del conflitto, che ormai si protrae da un anno, dalla fallita controffensiva ucraina della scorsa estate, è da un lato il quadro sul terreno, dall’altro quello politico internazionale: se l’alleanza strategica tra Mosca e Pechino difficilmente può essere scalfita, altri paesi, dal Brasile al Sudafrica, passando per alcuni che stanno scegliendo più libertà di manovra, dall’India a quelli del Golfo, non si sono allineati allo schieramento occidentale che sostiene l’Ucraina, ma indirettamente hanno assunto una posizione più vicina a quella della Russia. Inoltre le vicende negli Stati Uniti, che all’inizio dell’anno hanno bloccato il flusso di aiuti verso Kiev e in ogni caso pongono un grande punto interrogativo in vista dell’avvicendamento alla Casa Bianca, stanno creando una sorta di incertezza verso il tipo di sostegno che potrà ricevere in futuro l’Ucraina.
Anche all’interno dell’Unione Europea proseguono gli screzi interni già visti nel passato, esaltati dal semestre di presidenza ungherese e dalle iniziative diplomatiche del premier Victor Orban, in Russia e in Cina, che alla fine dei conti hanno fatto il gioco di Mosca, Pechino e del fronte anti-occidentale. Putin, la cui popolarità in casa a giugno è stata dell’87%, vede l’economia crescere di oltre il 3%, meglio delle previsioni iniziali del Fondo monetario internazionale, e pare aver stabilizzato il sistema senza timori di ribaltoni improvvisi, ha due opzioni: quella di poter scendere nei prossimi mesi a trattative partendo da una posizione di forza, o quella di continuare la guerra come ha fatto sino ad ora.
Zelensky apre al dialogo con la Russia
Telegiornale 16.07.2024, 20:00