“Gli ucraini si sono resi conto che non possono fidarsi degli Stati Uniti e sanno che hanno bisogno di noi”. In Cina, tra i commenti più comuni sui social media durante la visita di Dmytro Kuleba c’è stato senz’altro questo. Con la prima visita del ministro degli Esteri ucraino dall’invasione russa, Pechino mirava a una serie di obiettivi. Il primo, condiviso con Kiev, era sanare la spaccatura di inizio giugno, quando Volodymyr Zelensky aveva accusato la Cina di voler “sabotare” la conferenza svizzera sulla pace.
Il secondo: mostrarsi una potenza responsabile in grado di dialogare con tutte le parti in causa del conflitto. Certo, le proporzioni restano nettamente sbilanciate a favore della Russia. Ma la visita di Kuleba e i toni amichevoli del confronto con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi vengono presentati da Pechino come la prova della sua presunta neutralità e imparzialità.
Il raggiungimento di questi due obiettivi ne avvicina un altro: rinsaldare i rapporti con l’Europa. Dato per scontato che in larga parte del cosiddetto Sud globale la posizione cinese viene già vista in maniera positiva, a Pechino serve fornire elementi che possano allontanare l’etichetta di “neutralità filorussa”, se non di aperto appoggio a Mosca, che l’Occidente ha spesso usato per descrivere la sua postura sulla guerra.
Saranno gli altri ad avvicinarsi alla posizione cinese
Già da qualche tempo, la Cina ha iniziato a pensare che il tempo potesse portare dei vantaggi strategici. La scommessa di Xi Jinping è che la stanchezza per la guerra potesse ampliare i dubbi di chi in Europa non è perfettamente allineato agli Stati Uniti. In sostanza, Pechino crede di non avere bisogno di cambiare la sua postura sulla guerra, perché saranno gli altri ad avvicinarsi alla sua. La convinzione di vincere questa scommessa è aumentata nelle ultime settimane. La visita di Kuleba è stata sì decisa prima dell’annuncio del ritiro di Joe Biden dalle presidenziali statunitensi, ma è comunque maturata quando l’ipotesi di un ritorno di Donald Trump appariva già plausibile. Ai dubbi sulla posizione del candidato repubblicano, si sono aggiunti i timori sulla debolezza di un presidente a scadenza ravvicinata.
Così come fatto ospitando la firma dell’accordo tra 14 fazioni palestinesi, la Cina prova a riempire i vuoti lasciati sulla scena internazionale, adottando un approccio ben più proattivo rispetto al passato sulle crisi globali. Anche perché il vero obiettivo cinese non è tanto quello di sostituirsi agli USA, quanto di affiancarli in una sorta di G2 di pari grado in cui i due modelli di sviluppo e sistemi politici siano visti con eguale dignità.
La pace cinese
Ma qual è l’idea di pace cinese? La visione olistica di Xi prevede il rispetto dell’integrità territoriale ma anche la tutela delle “legittime preoccupazioni di sicurezza” di tutti i Paesi. Tentando una traduzione sulla scena ucraina, potrebbe significare un compromesso sui territori con garanzie incrociate di non aggressione e (magari) di non schieramento di mezzi della NATO. Ma, per ora e finché potrà, Pechino ritiene sufficiente mostrarsi disponibile a lavorare per una soluzione politica. Non è un mistero che Cina e Brasile sostengono una conferenza di pace riconosciuta da entrambe le parti coinvolte nel conflitto. Se dovessimo immaginare l’agenda sognata da Xi potrebbe essere questa: colloquio con Zelensky entro ottobre, ennesimo confronto con Putin al summit dei BRICS di ottobre a Kazan, accelerazione sulla conferenza di pace dal G20 di novembre in Brasile, al fianco di Lula. Il tutto proprio pochi giorni dopo le elezioni americane, che forse qualcuno a Pechino si augura le più conflittuali e controverse possibili.
La tappa di Kuleba a Hong Kong dimostra che Kiev non chiude all’eventualità. Vero che la visita nell’ex colonia britannica è servita al ministro ucraino per chiedere alle autorità locali di evitare le esportazioni di chip e prodotti dual use in Russia. Ma non può sfuggire che le visite dei diplomatici occidentali a Hong Kong sono crollate dopo la repressione delle proteste pro democrazia degli anni scorsi. Kuleba ha incontrato il governatore John Lee, che durante le proteste ha diretto la repressione della polizia nel ruolo di capo della sicurezza. E per questo è stato anche sanzionato dagli Stati Uniti. Il passaggio da Hong Kong, così come l’appoggio alla posizione cinese su Taiwan che appare nel resoconto di Pechino sull’incontro tra Kuleba e Wang, danno la sensazione che Kiev pensi o speri di ottenere davvero qualcosa da Xi.
Non è andato a Pechino
I tempi, però, potrebbero non essere così maturi. Lo ha detto Wang, lo mostra anche quello che non è successo durante la visita. Oltre a Hong Kong, Kuleba è stato infatti a Guangzhou, metropoli simbolo della crescita economica degli scorsi decenni ma priva dell’afflato politico di Pechino. Non essere andato nella capitale significa non poter essere ricevuti da Xi. Un eventuale incontro avrebbe segnalato che un confronto tra il leader cinese e Zelensky era vicino. Forse non è così. Intanto, il giorno dopo aver ricevuto Kuleba, Wang ha incontrato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in Laos, a margine della ministeriale degli Esteri dell’ASEAN.
Kuleba a sorpresa a Hong Kong
SEIDISERA 25.07.2024, 18:23
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