“È importante che i nostri nemici sappiano che Stati Uniti e Israele sono uniti, oggi, domani e per sempre”, indipendentemente da chi c’è alla Casa Bianca, ha detto Benjamin Netanyahu lunedì mattina prima di partire per Washington, meta di un viaggio “di grande importanza” nel contesto geopolitico globale di oggi, segnato dagli sforzi fin qui inutili per un cessate il fuoco a Gaza e dai crescenti timori di un allargamento del conflitto a Yemen e Libano. La rinuncia di Joe Biden a una nuova candidatura alla Casa Bianca ha aggiunto un nuovo elemento di incertezza. “Lo conosco da oltre 40 anni, sarà un’opportunità per ringraziarlo per le cose che ha fatto per Israele durante la guerra e durante la sua lunga e illustre carriera nel servizio pubblico, come senatore, vicepresidente e presidente”, ha affermato Netanyahu.
In agenda non ci sono solo l’incontro con Biden e quello con Kamala Harris, a questo punto probabile candidata democratica in novembre, ma soprattutto il discorso al Congresso di mercoledì. Già il solo fatto che sia stato invitato a parlare - dopo discussioni fra democratici e repubblicani - non è andato giù a tutti, nemmeno in patria: 500 scrittori, ricercatori e figure pubbliche di Israele avevano scritto al Congresso avvertendo che sta fornendo a Netanyahu una piattaforma per pubblicizzare le politiche di estrema destra del suo Governo. “Il suo solo interesse”, hanno scritto, “è quello di restare al potere”.
Il discorso al Congresso del marzo 2015
Per Netanyahu sarà la quarta volta davanti ai deputati statunitensi, più di qualsiasi altro leader straniero. Il tema dell’indissolubile alleanza fra i due Paesi costituirà il fulcro dell’intervento, come lo stesso Netanyahu ha già fatto sapere in un comunicato. “Ha interesse a mostrare al pubblico israeliano di essere ancora benvenuto negli Stati Uniti”, ha spiegato all’Associated Press David Makovsky, direttore del programma di studio delle relazioni arabo-israeliano al Washington Institute for Near Est Policy.
Ma pubblici diversi hanno aspettative antitetiche riguardo alle sue parole. A cominciare dalla stessa amministrazione oggi in carica a Washington: Biden ha garantito il suo appoggio a Israele dopo il 7 ottobre 2023, ma la condotta della guerra - con un gran numero di vittime civili - e le difficoltà nel far giungere aiuti umanitari, complice la breve vita del molo installato dalle truppe statunitensi, e l’assenza di piani per il dopoguerra hanno portato a qualche attrito. Attrito concretizzatosi nella sospensione delle consegne di alcune bombe a inizio anno, nella decisione di sanzionare i coloni violenti in Cisgiordania e nell’astensione statunitense in occasione della risoluzione con cui l’ONU ha chiesto il cessate il fuoco in marzo. Anche il capo della maggioranza democratica al Senato Chuck Schumer, ebreo, si era aggiunto al coro delle voci critiche nei confronti del Governo israeliano. Da ultima, si è inserita la risoluzione votata nei giorni scorsi dalla Knesset, contraria alla creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania. La Casa Bianca aveva reagito ribadendo il proprio sostegno alla soluzione dei due Stati.
Piccole ruggini, insufficienti a far vacillare l’alleanza, ma che potrebbero restare nel caso in cui la presidenza restasse in mani democratiche nel prossimo quadriennio. Alcuni esponenti del partito dell’asinello, peraltro, potrebbero segnalare il loro malcontento lasciando l’aula al momento del discorso di Netanyahu.
Stretta di mano con Donald Trump nel maggio 2017
Un eventuale successo di Donald Trump, che durante il suo mandato decise lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, sarebbe invece un nuovo punto di partenza. Secondi fonti di stampa - non vi sono conferme ufficiali - Netanyahu incontrerà anche il candidato repubblicano. Scelta delicata: non si può dare l’impressione di schierarsi per uno dei due aspiranti alla Casa Bianca, ma nemmeno rischiare di irritare il favorito nei sondaggi, snobbandolo.
Attivisti per la causa palestinese, che ha infiammato le università americane negli scorsi mesi, potrebbero pure far sentire la loro presenza durante il viaggio.
Su Netanyahu saranno puntati però anche occhi e orecchie degli israeliani: prima di tutto quelli dei suoi alleati di Governo, essenziali per la sua sopravvivenza politica, che non vogliono sentire toni morbidi per compiacere l’amministrazione Biden. Si ricorda che in un precedente discorso al Congresso, Netanyahu non esitò a criticare Barack Obama, allora alla Casa Bianca, per l’accordo raggiunto sul nucleare iraniano. Ma lo ascolteranno anche le decine di migliaia che hanno manifestato contro di lui negli scorsi mesi, chiedendone le dimissioni prima per gli scandali di politica interna e poi per il fallimento del 7 ottobre, e le famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas: per loro “non è tempo di compiere viaggi. Prima bisogna trovare un accordo”.
Netanyahu vola a Washington
Telegiornale 22.07.2024, 20:00
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Notiziario 22.07.2024, 10:00