Cronistoria

7 ottobre, un anno di sangue in Medio Oriente

Un anno fa l’attacco di Hamas contro Israele che fece 1’200 morti - E sono decine di migliaia quelli della guerra a Gaza, che non pare vicina alla fine. Anzi, si è estesa a Libano e Iran

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Di: pon 

È l’alba del 7 ottobre 2023. Le sirene di allarme risuonano nel sud di Israele. Non è l’inizio della storia, perché gli eventi che hanno segnato l’ultimo anno non possono essere letti se non all’interno del decennale conflitto israelo-palestinese. È però l’inizio di un giorno che rimarrà per sempre segnato nella storia di Israele e della Palestina e le cui conseguenze a medio e lungo termine – per quanto riguarda il futuro della stessa Striscia di Gaza, ma non solo - sono ancora tutte da scrivere.

Il giorno dell’attacco

Il 7 ottobre 2023 è shabbat, sabato giorno di riposo per gli ebrei, coincide con la festività della Simchat Torah e (quasi esattamente) con un’importante ricorrenza storica: il giorno precedente era il cinquantesimo anniversario dell’inizio della guerra dello Yom Kippur, cominciata anche quella con un attacco che colse di sorpresa Israele.

Sorpresa che è totale anche quel mattino di un anno fa: un comunicato di Mohammed Deif, comandante delle Brigate al Qassam, il braccio armato di Hamas, annuncia l’inizio dell’operazione Alluvione al Aqsa e migliaia di razzi si abbattono sul territorio israeliano. A loro va imputata solo una minima parte delle vittime di quel giorno.

Israele, 7 ottobre. Un anno dopo

Falò 01.10.2024, 21:10

Contemporaneamente gruppi di combattenti superano le barriere di confine via terra, dal cielo e dal mare, aprono brecce e si fanno strada occupando postazioni militari e stazioni di polizia, raggiungono alcuni kibbutz lungo la frontiera: a Kfar Aza, Be’eri, Nir Oz, è una strage.

Non hanno scampo neanche i partecipanti al Supernova, un festival di musica che si tiene presso Re’im, nel deserto del Negev. L’esercito impiegherà due giorni prima di annunciare di aver ripreso il controllo della situazione.

Il bilancio dell’attacco, che prende una forma definitiva solo dopo un paio di mesi, è di quasi 1’200 morti (859 erano civili, fra cui anche dei bambini) e circa 250 ostaggi che Hamas rapisce e porta nella Striscia di Gaza.

Reportage da Ashkelon

Telegiornale 10.10.2023, 21:22

Reportage da Sderot

Telegiornale 13.10.2023, 20:31

La risposta israeliana

Israele è sotto shock e “in guerra”, annuncia il premier Benyamin Netanyahu. Decine di migliaia di riservisti vengono richiamati in servizio. La risposta iniziale è affidata ai caccia: i bombardamenti provocano migliaia di morti fra la popolazione di Gaza nel giro di pochi giorni e il Governo annuncia il “blocco totale” della Striscia. Comincia l’assedio.

Bisognerà attendere il 21 ottobre prima che aiuti umanitari possano arrivare dall’Egitto attraverso il valico di Rafah. Insufficienti per far fronte a una tragedia umanitaria che nei mesi seguenti non farà che aggravarsi.

Il 27 ottobre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approva una risoluzione per chiedere una tregua umanitaria. Israele (come gli Stati Uniti) vota contro e la notte seguente lancia la sua offensiva di terra.

Per una vasta maggioranza della popolazione della Striscia – oltre 2 milioni di persone su una superficie di 365 km2, un quinto del canton Ticino – non c’è via di uscita.

Il 1° novembre iniziano le evacuazioni, ma solo per circa 7’000 persone con passaporti stranieri, compresi alcuni svizzeri. Solo loro e pochi altri riescono ad andarsene.

Gli abitanti vengono progressivamente “spinti” verso sud dagli ordini di evacuazione che precedono le operazioni israeliane. Mentre il premier Netanyahu afferma che “la guerra sarà lunga” e che il suo Paese intendere mantenere un controllo a lungo termine sull’area, l’esercito israeliano avanza progressivamente verso il centro della Striscia.

Reportage da Rafah

Telegiornale 16.11.2023, 20:00

Dopo un assedio di diversi giorni, il 15 novembre i soldati entrano nell’ospedale al Shifa. Nel giro di poche settimane, tutti i maggiori nosocomi del nord di Gaza cessano di funzionare. Ad oggi, secondo Médecins sans Frontières, solo 17 su 36 nell’intera Striscia sono parzialmente funzionanti.

La tregua di novembre

Sul fronte diplomatico si lavora intanto per una tregua, che viene annunciata il 21 novembre e scatta il 24, ma durerà solo una settimana. A ondate successive Hamas rilascia circa la metà degli ostaggi nelle sue mani, in cambio della liberazione di 240 detenuti palestinesi.

Il 1° dicembre la guerra però riprende come prima e tre giorni più tardi l’esercito israeliano lancia il suo attacco verso Khan Yunis. Il Governo Netanyahu è sordo agli appelli delle organizzazioni non governative che temono l’estensione del conflitto anche al sud della Striscia e alle critiche del presidente statunitense Joe Biden, secondo il quale i bombardamenti indiscriminati, con il loro corollario di stragi di civili, stanno costando a Israele il sostegno internazionale.

Non ascolta neanche le proteste interne, dopo che il 15 dicembre i soldati uccidono per errore tre ostaggi a Gaza.

Alla fine di gennaio, con la morsa che si stringe su Khan Yunis, ormai metà della popolazione della Striscia è costretta a Rafah, al confine meridionale, quello con l’Egitto.

Cisgiordania, il reportage del nostro inviato

Telegiornale 23.12.2023, 20:00

Il 23 gennaio l’offensiva vive il suo giorno più nero per Israele, 24 soldati vengono uccisi. Il Dipartimento federale degli affari esteri conferma che fra i militari dello Stato ebraico periti dal 7 ottobre ce ne erano anche due con cittadinanza elvetica.

L’accusa di genocidio

Siamo alla fine di gennaio. Due settimane dopo la discussione del caso, la Corte internazionale di giustizia, sollecitata dal Sudafrica, giudica plausibile che le azioni israeliane possano configurare il crimine di genocidio e ordina allo Stato ebraico di adottare misure perché non se ne commetta uno nella Striscia di Gaza, dove proprio quel giorno il bilancio dei morti supera i 26’000.

La Corte dell'Aja: Israele deve prevenire atti di genocidio

Telegiornale 26.01.2024, 20:00

Ma la Corte non ordina la cessazione dei combattimenti. Il Sudafrica ancora di recente si è detto determinato a portare avanti il caso.

Il caso UNRWA

Il giorno dopo, il 27 gennaio, scoppia la vicenda UNRWA: Israele accusa dipendenti dell’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi di essere coinvolti negli attacchi del 7 ottobre. L’agenzia diretta dallo svizzero Philippe Lazzarini si dichiara del tutto estranea a decide di rescindere il contratto di 12 di essi (su 13’000 nella Striscia, dove garantisce l’istruzione a quasi 300’000 giovani e gestisce 140 strutture sanitarie). Viene avviata un’inchiesta interna. Alla luce di quanto accertato fino ad ora, è possibile che 9 dipendenti fossero effettivamente coinvolti. Molti Paesi hanno sospeso nel frattempo i finanziamenti all’UNRWA (e in gran parte li hanno in seguito ripristinati). In Svizzera il 9 settembre, meno di un mese fa quindi, il Consiglio nazionale ha accolto una mozione di David Zuberbühler (UDC) che chiede un’interruzione immediata dei pagamenti.

Israele non vuole che l’UNRWA continui a operare a Gaza e più volte ha negato a Lazzarini il permesso di recarvisi. L’agenzia dell’ONU, invece, denuncia i ripetuti attacchi contro le sue infrastrutture, in particolare le scuole che si sono trasformate in rifugi per i profughi. L’ultimo a metà settembre ha causato la morte anche di sei dipendenti, ma in totale sono più di 200 quelli uccisi dai raid in questo anno di guerra.

Sentenze e risoluzioni ignorate

Quello citato in precedenza è solo il primo intervento della Corte internazionale di giustizia nel conflitto. Il 28 marzo la CIG – le cui decisioni sono senza appello e giuridicamente vincolanti - ha ordinato a Israele di “garantire un’assistenza umanitaria a Gaza”, il 24 maggio la liberazione incondizionata degli ostaggi e la fine dell’offensiva contro Rafah, la città più meridionale della Striscia, dove nel frattempo si era ammassato oltre un milione di profughi e ciononostante invasa il 6 maggio dall’esercito di Israele.

La Corte di giustizia chiede a Israele di fermarsi

Telegiornale 24.05.2024, 20:00

Una decisione vincolante ma ignorata (senza conseguenze) dallo Stato ebraico, così come la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 25 marzo. Quel giorno Washington – che per tre volte aveva ricorso al suo diritto di veto nei mesi precedenti - spezza un tabù e non blocca un testo che “esige un cessate il fuoco umanitario per il Ramadan (il mese sacro ai musulmani, che era già cominciato, ndr) e che possa diventare in seguito duraturo”. Un segnale, così come le sanzioni nei confronti di coloni violenti in Cisgiordania e la sospensione dell’invio di alcune armi.

ONU, adottata risoluzione per un cessate il fuoco a Gaza

Telegiornale 25.03.2024, 20:00

Ma gli Stati Uniti nei fatti sono sempre rimasti fedeli al loro storico alleato, anche quando hanno manifestato irritazione per l’agire del Governo Netanyahu e dei suoi soldati. Come un mese fa, dopo l’uccisione a Khan Yunis di un’attivista turco-statunitense. In aprile era toccato invece a sette cooperanti umanitari (britannici, australiani, polacchi e canadesi) dell’ONG World Central Kitchen. L’esercito israeliano aveva ammesso l’errore e presentato scuse.

La Casa Bianca ha per esempio bloccato, il 18 aprile, un’altra risoluzione del Consiglio di sicurezza che avrebbe consentito la piena adesione della Palestina alle Nazioni Unite.

NO all'adesione della Palestina

Telegiornale 19.04.2024, 20:00

La richiesta di un mandato d’arresto per Netanyahu e i capi di Hamas

Oltre alla CIG, la questione mediorientale ha occupato anche l’altra Corte con sede all’Aia, quella penale internazionale. Il procuratore capo Karim Khan ha chiesto il 20 maggio mandati di arresto nei confronti di Netanyahu, del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant e di tre leader di Hamas: Yahya Sinwar, il già citato Mohammed Deif e Ismail Haniyeh. La Camera preliminare non ha ancora dato risposta a questa richiesta. Questo nonostante l’insistenza di Khan. Il nome di Haniyeh, ucciso in seguito, è intanto scomparso dalla lista. C’è ancora quello di Deif, probabilmente a sua volta morto come vedremo più tardi.

Le proteste universitarie

La primavera è il tempo della giustizia internazionale e delle proteste universitarie. In aprile gli atenei statunitensi si infiammano come non accadeva dai tempi del Vietnam.

Reportage dalla Columbia University

Telegiornale 01.05.2024, 20:00

“Vi ascolto”, dice Joe Biden ai giovani che occupano i campus per chiedere una Palestina libera, ma per mettere fine alle contestazioni in più di un caso interverrà la polizia. Così anche in Svizzera, dove occupazioni avvengono a Losanna, Ginevra, Basilea, Berna, Friburgo e Zurigo.

Un conflitto che minaccia di allargarsi

I mesi passano e non solo il conflitto non accenna a concludersi, ma anzi minaccia di estendersi al Libano, da dove Hezbollah lancia regolarmente razzi e diventa bersaglio dei caccia e dell’artiglieria israeliani. Circa 90’000 abitanti del nord di Israele sono stati costretti a lasciare le loro case a causa dei quotidiani scontri.

Reportage dalle alture del Golan

Telegiornale 12.07.2024, 20:00

Sono colpiti anche i villaggi libanesi di frontiera, in parte distrutti e abbandonati. Gli sfollati sono decine di migliaia, le vittime centinaia e crescono i timori che Israele voglia aprire un secondo fronte di guerra a nord.

La violenza nei territori palestinesi non risparmia la Cisgiordania, dove i coloni che vivono in insediamenti illegali per il diritto internazionale e soldati hanno ucciso centinaia di palestinesi (679 fino al bilancio del 13 settembre).

A loro volta sostenuti dall’Iran, i ribelli Houthi yemeniti da mesi prendono di mira le navi che transitano nel Mar Rosso, difese dalla missione navale europea Aspides approvata il 19 febbraio. In agosto gli Houthi hanno attaccato una petroliera greca, abbandonata dall’equipaggio e rimasta in fiamme per un mese prima di essere rimorchiata verso nord. Hanno lanciato missili e droni anche verso Israele: il 15 settembre un loro missile è caduto in un’area disabitata nel centro di Israele, mentre in luglio un drone aveva colpito Tel Aviv, causando un morto e dieci feriti.

Un missile dallo Yemen ha colpito Israele

Telegiornale 15.09.2024, 20:00

Israele ha nel frattempo colpito ripetutamente anche in Siria e in Iran, la potenza regionale rivale. Il 1° aprile di quest’anno, un raid ha distrutto la sede consolare iraniana a Damasco, uccidendo 16 persone fra cui ufficiali di alto rango dei Pasdaran, i guardiani della rivoluzione. La vendetta iraniana, preannunciata e rivelatasi più che altro un’azione dimostrativa, è arrivata due settimane più tardi: circa 300 fra droni e missili, in larga misura (ma non tutti) distrutti dalle difese israeliane. Alcune basi aeree sono state colpite.

Le uccisioni di fine luglio

La crisi conosce un’impennata nel corso del suo decimo mese, con le uccisioni ravvicinate del comandante di Hezbollah Fuad Shukr (il 30 luglio a Beirut) e del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh (il 31 luglio a Teheran). Due settimane prima, un raid israeliano aveva causato numerosi morti in un campo profughi presso Khan Younis e fra questi – lo Stato ebraico ne è sicuro – ci sarebbe stato anche un altro leader di Hamas, Mohammed Deif, colui che aveva annunciato l’inizio dell’attacco del 7 ottobre. L’Iran ha promesso una rappresaglia molto più decisa della precedente, che però inizialmente si fa attendere, forse scongiurata dagli sforzi diplomatici.

Chi era Ismail Haniyeh

Telegiornale 31.07.2024, 20:00

I cercapersone esplosi e gli attacchi in Libano

Hezbollah ha poi subito un nuovo duro colpo tre settimane fa: in due giorni successivi, sono esplosi cercapersone e poi walkie talkie in dotazione ai miliziani, sabotati con l’inserimento di esplosivo già prima della consegna - con ogni probabilità dai servizi segreti israeliani - e attivati a distanza per uccidere. Il bilancio è stato di una trentina di morti e migliaia di feriti, molti dei quali gravi: hanno perso la vista o le dita delle mani. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un discorso il 19 settembre ha promesso vendetta e che il fronte libanese resterà aperto finché Israele non avrà lasciato Gaza. Pochi giorni dopo, però, diventerà a sua volta un bersaglio.

La situazione in Libano dopo questi fatti precipita: i reciproci attacchi fra Hezbollah e Israele proseguono, e le conseguenze nel Paese dei cedri sono pesanti. Il 23 settembre Israele compie una serie di raid aerei, affermando di aver colpito obiettivi del gruppo sciita. Beirut smentisce Tel Aviv: “la stragrande maggioranza delle vittime erano persone disarmate nelle loro case”. I morti sono 568 e fra questi circa 150 fra donne e bambini, secondo il ministro della sanità Firass Abiad. È il bilancio più pesante su questo fronte dal 2006 a oggi. Il giorno seguente Israele compie nuovi raid ed emerge che fra le vittime ci sono anche due collaboratori dell’ONU. Benyamin Netanyahu annuncia che Israele non intende fermarsi ma l’ambasciatore alle Nazioni Unite Danny Danon allontana l’ipotesi di un’invasione di terra. La questione libanese è inevitabilmente al centro dei discorsi alla 79ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’addio alla scena internazionale per Joe Biden che afferma di credere ancora in una soluzione diplomatica.

L'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Telegiornale 24.09.2024, 20:00

L’uccisione di Nasrallah

Succede tutto il contrario, non è la diplomazia a parlare ma ancora le armi: tre giorni dopo davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite si presenta Benjamin Netanyahu, che allontana ogni ipotesi di cessate il fuoco. Non appena finisce di parlare, Israele lancia un nuovo e pesantissimo raid su Beirut. L’obiettivo è il quartier generale di Hezbollah. Per colpire Nasrallah in persona, viene raso al suolo un intero isolato. Il capo del movimento sciita “è vivo”, secondo una fonte vicina al Partito di Dio, ma il giorno dopo arriva l’ammissione: il numero uno di Hezbollah ha perso la vita nell’attacco.

Nasrallah è morto

Telegiornale 28.09.2024, 12:30

Chi era Hassan Nasrallah

Telegiornale 28.09.2024, 20:00

Siamo all’ultima settimana, segnata da due eventi: l’Iran esce dalla “pazienza strategica” di cui aveva dato prova dopo i duri colpi subiti attraverso i suoi alleati e lancia un nuovo attacco missilistico contro Israele. Solo vettori balistici, questa volta, non droni, e senza il medesimo preavviso. Le difese israeliane si confermano efficaci ma non impenetrabili: gran parte dei missili è intercettata, ma non tutti. Circolano immagini satellitari dei danni alla base aerea di Nevatim e di un cratere non lontano dalla sede del Mossad, un altro degli obiettivi di Teheran. Il Governo Netanyahu ha prontamente promesso ritorsioni.

Israele promette una ritorsione

Telegiornale 02.10.2024, 20:00

L’altra svolta è l’inizio delle incursioni di terra dell’esercito israeliano in Libano. Non un’invasione, ma una serie di operazioni mirate contro Hezbollah, accompagnate da bombardamenti quotidiani e dagli ordini di evacuazione anche per località situate a nord del fiume Litani, che a una trentina di chilometri dal confine segna il limite di una “zona cuscinetto” fissata dall’ONU nel 2006.

Il bilancio dei morti in Libano non cessa di aggravarsi, gli sfollati superano il milione, gli abitanti del nord di Israele non possono per ora tornare in sicurezza alle loro case e l’esercito dello Stato ebraico ha subito a sua volta delle perdite, almeno otto soldati caduti in imboscate.

Al via l'operazione di terra israeliana in Libano

Telegiornale 01.10.2024, 12:30

Il fallimento della diplomazia

Gli sforzi diplomatici non hanno portato, finora, all’annuncio più atteso: di una nuova tregua si parla da mesi ma senza risultati e anzi i più recenti avvenimenti fanno temere che un più ampio conflitto regionale sia sul punto di scoppiare. Il 14 giugno il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha accettato una risoluzione statunitense che prevede un piano in tre fasi per Gaza partendo da un cessate il fuoco con il rilascio di ostaggi e prigionieri palestinesi e il ritiro israeliano dalle aree più popolose della Striscia, proseguendo con un ritiro completo e concludendo con un piano pluriennale di ricostruzione della Striscia.

Le trattative da allora, con la mediazione di Washington, del Qatar e dell’Egitto, non hanno dato tuttavia esito. Fra gli ostacoli vi sarebbe la volontà israeliana di mantenere un controllo sul corridoio Filadelfia, la fascia della Striscia che corre lungo il confine con l’Egitto.

Ancora un centinaio di ostaggi nella Striscia di Gaza

Mentre nella Striscia di Gaza il bilancio si aggrava di giorno in giorno (quasi 42’000 morti finora) e solo una campagna di vaccinazione dei bambini contro la polio ha messo localmente a tacere le armi, in Israele decine di migliaia di persone manifestano intanto il sabato sera per chiedere al Governo Netanyahu di giungere a un accordo con il movimento islamico, con ancora maggiore forza dopo l’uccisione di sei ostaggi i cui corpi sono stati ritrovati il 31 agosto. Le famiglie vogliono che quanti da un anno sono nelle mani di Hamas possano tornare a casa: a Gaza sarebbero in 97, 33 dei quali, tuttavia, sono considerati deceduti.

A un anno dagli attacchi Netanyahu appare però ancora saldo in sella, nonostante le proteste per il mancato rientro degli ostaggi e le accuse di chi afferma che stia prolungando la guerra per rimanere al potere, andate ad aggiungersi al fallimento delle autorità, dell’esercito e dei servizi segreti nel prevenire la strage del 7 ottobre.

Le ripercussioni in Svizzera

In Svizzera, come in moltissimi Paesi occidentali, l’attacco terroristico del 7 ottobre e il lungo e logorante conflitto che ne è scaturito ha avuto ripercussioni a livello sociale e politico. Nella Confederazione da allora il numero di episodi catalogati come atti antisemiti è cresciuto drasticamente, come rivelano i rapporti stilati della Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI) e della Fondazione contro il razzismo e l’antisemitismo (GRA). L’atto più violento è stato registrato il 2 marzo a Zurigo, quando un 15enne radicalizzato ha gravemente ferito con un’arma da taglio un 50enne ebreo ortodosso

Zurigo, fuori pericolo l'ebreo accoltellato

Telegiornale 04.03.2024, 20:00

Via libera al piano di azione contro l'antisemitismo

Telegiornale 07.03.2024, 12:30

Ma non tutte le organizzazioni ebraiche in Svizzera sostengono la politica di Israele. Per l’associazione “Jüdische Stimme für Demokratie und Gerechtigkeit in Israel/Palästina” (JVJP, letteralmente “Voce ebraica per la democrazia e la giustizia in Israele/Palestina”), la guerra di rappresaglia sta portando la regione al collasso e serve una soluzione politica per una pace duratura. La JVJP vede un barlume di speranza nella conferenza che organizzerà la Svizzera su mandato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la risoluzione sulla Palestina.

Sul fronte politico, detto dei mancati aiuti all’UNRWA sui quali solo Svizzera e Stati Uniti non hanno fatto passi indietro, il Governo ha mosso passi per il divieto di Hamas in Svizzera. La politica elvetica è divisa: Corina Eichenberger-Walther, a capo dell’Associazione Svizzera-Israele ed ex consigliera nazionale per il PLR, ritiene che lo Stato ebraico stia esercitando il suo “diritto all’autodifesa” di fronte alla volontà iraniana di annientarlo. Geri Müller, ex consigliere nazionale argoviese dei Verdi e presidente dell’Associazione Svizzera-Palestina, accusa invece la Confederazione di aver preso una posizione unilaterale a favore di Israele “ignorando numerose zone grigie” e di sostenere solo a parole la soluzione dei due Stati, visto che il Governo come il Parlamento si rifiuta di riconoscere la Palestina.

La Confederazione presiede questo mese il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Intervistata dalla RSI, l’ambasciatrice Pascale Baeriswyl ribadisce il mantra elvetico e della comunità internazionale, fin qui rimasto inascoltato: “La diplomazia è l’unica via per fermare le armi”.

Israele, 7 ottobre. Un anno dopo

Falò 01.10.2024, 21:10

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