L’intervista era prevista per l’anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, ma l’attualità non permette di aspettare il 7 ottobre. L’appuntamento con l’ambasciatrice alla Missione Svizzera all’ONU, Pascale Baeriswyl, è il primo giorno alla presidenza elvetica del Consiglio di Sicurezza. Il leader di Hezbollah è stato ucciso tre giorni prima, sono iniziate le incursioni israeliane in Libano e durante la conferenza stampa con i giornalisti accreditati alle Nazioni Unite per il cambio alla testa del Consiglio la cronaca mediorientale irrompe ancora: l’Iran ha lanciato una pioggia di missili su Israele.
“Stiamo seguendo attentamente la situazione e stiamo raccogliendo informazioni sul terreno”, risponde Baeriswyl incalzata dai media. “C’è preoccupazione e frustrazione, ammette a un altro giornalista, ma la diplomazia rimane l’unica via per fermare le armi”.
Il tempo dell’intervista prevista si riduce all’osso, c’è da convocare una prima seduta d’urgenza dell’organo dell’ONU chiamato a dirimere i conflitti. La pressione e l’urgenza del momento sono evidenti. Questa la trascrizione dell’incontro con l’ambasciatrice.
Pascale Baeriswyl
Qual è la sua reazione alla risposta iraniana? I rischi di un’escalation e di un ulteriore allargamento della guerra in Medio Oriente sono fondati?
“Certamente. Avevamo già avvertito la necessità di compiere tutti i passi necessari per calmare la situazione, perché i fattori per far temere una guerra su larga scala sono aumentati e oggi il rischio è più grande che mai. Speriamo di poter ancora fermare quel che sta nascendo...”.
Convocherà immediatamente il Consiglio? Quali saranno i prossimi passi?
“Abbiamo domandato un cessate il fuoco a Gaza, in seguito l’abbiamo chiesto in Libano… E ora cercheremo di fare il possibile per evitare un’escalation sperando di riuscirci”.
Tutto ebbe inizio con l’attacco di Hamas il 7 ottobre. Che ricordi ha di quel giorno?
“Stavo rientrando da Addis-Abeba, da una visita del Consiglio di Sicurezza all’Unione Africana. Ero in volo e quando sono atterrata il mio telefono stava letteralmente esplodendo… E il mio primo pensiero è stato… – sa, sono cresciuta a Basilea e ho molto lavorato sull’Olocausto – e il mio primo pensiero è stato per la comunità ebraica in Israele e nel mondo. Poi è arrivata la condanna della Svizzera per questi attacchi terroristi terribili”.
Dall’inizio della guerra di Israele a Gaza, quanto del suo tempo è occupato dalla crisi mediorientale?
“Senza mai fermarsi… Abbiamo lavorato soprattutto con i membri eletti per raggiungere un cessate il fuoco. Ci sono voluti diversi mesi per riuscire a fare approvare al Consiglio di Sicurezza una risoluzione a marzo. La prima nella storia del Consiglio a essere proposta da membri eletti. Naturalmente, speravamo che questa risoluzione venisse rispettata…”.
La presidenza elvetica al Consiglio di Sicurezza ONU
In questi dodici mesi ben 5 risoluzioni sono state bloccate dai veti dei membri permanenti (tre degli Stati Uniti, due di Russia e Cina). Come siete riusciti a far passare quella proposta?
“Più risoluzioni sono state oggetto di veto, abbiamo allora cercato altre strade e siamo giunti alla conclusione che in dieci, con i membri non-permanenti, eravamo più forti. Ma poi abbiamo dovuto negoziare con gli Stati Uniti e allo stesso tempo mantenere i contatti con gli altri membri permanenti in modo che nessuno avesse l’impressione di essere lasciato fuori”.
Come ha detto, quella risoluzione non è stata rispettata. Come si supera la frustrazione?
“Credo sia importante provare una certa dose di frustrazione, perché conserva la nostra umanità. E per quanto mi riguarda, personalmente ho passato notti insonni pensando ai bambini vittime - non solo in Palestina, ma anche in Sudan... e in tutti i conflitti, ve ne sono 120 nel mondo. Ma allo stesso tempo, il nostro lavoro non può fermarsi alla frustrazione. Dobbiamo davvero provare e provare...”
A tu per tu con Pascale Baeriswyl
La guerra in Ucraina si avvicina al suo terzo anno, quella di Israele al suo primo. Resta l’impressione che nel contesto internazionale la diplomazia annaspi…
“Viviamo in un’epoca in cui la forza spesso prevale sul diritto internazionale e sul diritto internazionale umanitario, diritti che vediamo erodere sotto i nostri occhi. Ed è chiaro che è un fallimento per la diplomazia, ma la diplomazia senza la volontà politica non può fare nulla. È sempre necessaria una soluzione politica. E non la si trova mai con le armi, ma solo con la diplomazia”.
Accanto al tentativo di raggiungere la pace c’è l’aiuto alla popolazione civile. Ci sono successi che non notiamo?
“Il Consiglio di Sicurezza è riuscito a trovare delle tregue temporanee per poter vaccinare contro la poliomielite i bambini di Gaza. Quasi 500’000 vaccinati, dopo dieci mesi di negoziati al Consiglio di Sicurezza. È un piccolo esempio di come siamo riusciti a dare un contributo molto concreto sul terreno. Ed è anche importante ricordare che ogni nuova operazione di pace - al momento ce ne sono undici - contribuisce alla protezione dei civili”.
Dinanzi ai conflitti odierni – dall’Ucraina a Gaza – anche all’ONU si ha l’impressione di un cambiamento di equilibri, un mondo sempre meno filo-occidentale…
“Gli equilibri cambiano in continuazione. Ho studiato storia e penso sia piuttosto un’evoluzione che un cambiamento con cesure nette, ma oggi è molto più veloce ed è il rispetto del diritto umanitario internazionale che viene messo in difficoltà in questi tempi”.
Il mese di Presidenza elvetico si appresta a essere bello carico per il Consiglio di Sicurezza…
“Il mese di ottobre è tradizionalmente il più carico e il primo compito è il funzionamento stesso del Consiglio. Ci sono tematiche che ci stanno a cuore, ma in una crisi come quella che stiamo vivendo l’importante è rendere il Consiglio di Sicurezza efficace e produttivo. Ma bisogno ricordare che si tratta di uno strumento, uno strumento per contribuire alla pace e alla sicurezza, ma dipende dalla volontà politica trovare le soluzioni perché le armi si fermino”.
Bisogna davvero essere molto ottimisti per lavorare in diplomazia!?
“Bisogna essere realisti. Ma pure ottimisti, perché non abbiamo scelta se non vogliamo lasciare ai nostri figli un mondo più pericoloso di quello in cui siamo cresciuti. Non è il momento di fermarsi, la diplomazia non può fermarsi per far rispettare il diritto internazionale. È la missione della Svizzera, è quello di cui abbiamo bisogno altrimenti prevarrà sempre e solo il più forte”.