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Caso Orlandi, cosa c'è di nuovo

E' stata resa nota un'informativa sullo zio della ragazza scomparsa 40 anni fa - L'uomo aveva molestato verbalmente Natalina, sorella di Emanuela - Per la famiglia la divulgazione della notizia è "una carognata"

  • 13 luglio 2023, 05:43
  • 2 agosto 2023, 18:30
Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, durante un sit-in lungo via della Conciliazione a Roma

Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, durante un sit-in lungo via della Conciliazione a Roma

  • Keystone
Di: Paolo Rodari

L’ultima notizia riguarda Mario Meneguzzi. Deceduto una decina di anni fa, era il marito di Lucia Orlandi, zia paterna di Emanuela, la cittadina vaticana quindicenne scomparsa dal centro di Roma nel 1983 e di cui non si sono avute più notizie. Secondo quanto è emerso da un servizio del tg de La7, mandato in onda il 10 luglio 2023, alcuni mesi dopo la scomparsa della ragazza l’allora Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli scrisse, in via riservata, un messaggio per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano inviato in Colombia da Giovanni Paolo II e che era stato in passato consigliere spirituale e confessore degli Orlandi. La missiva - sempre secondo quanto si è ascoltato nel servizio - sollecitata da ambienti investigativi romani, puntava a chiarire se il religioso fosse a conoscenza del fatto che Meneguzzi avesse molestato la sorella maggiore di Emanuela, Natalina. Alla domanda il religioso rispose in maniera affermativa. E nella risposta al cardinal Casaroli aggiungeva anche che la sorella maggiore di Emanuela le confidò di avere paura: secondo quanto ha riportato La7 le sarebbe stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, pare l’avesse fatta assumere qualche tempo prima.

Queste lettere sono ora finite all’attenzione dei pm di Roma che da alcune settimane hanno riavviato le indagini sulla scomparsa di Emanuela. La procura di Roma è tornata a collaborare con quella vaticana per cercare di fare luce su uno dei casi irrisolti che maggiormente toccano ancora oggi le corde di tutta l’opinione pubblica italiana. La pista che la procura ha deciso di seguire sembra, dunque, essere quella famigliare: l’attenzione portata sullo zio di Emanuela su cui, 40 anni fa, già erano state fatte indagini poi archiviate.

La reazione della famiglia

La notizia ha creato un grande scompiglio. Anzitutto, infatti, ha provocato la dura reazione della famiglia Orlandi che ha detto la sua in una conferenza stampa convocata l’11 luglio 2023 presso la sala stampa estera a Roma.

Natalina, in particolare, ha negato decisamente di essere stata bersaglio delle molestie dello zio, se non “di qualche piccola avance verbale nel 1978, magari un regalino, qualche apprezzamento”. E, ancora, ha detto: “Quando feci capire che non c’era nessuna possibilità è finito tutto lì”.

Il fratello di Emanuela, Pietro, che da anni si espone per avere una verità, “qualunque essa sia”, ha detto che l’uscita della notizia è una “carognata” perché “si vuole far passare la scomparsa di Emanuela come una cosa famigliare”, discolpando così il Vaticano proprio mentre si deve decidere sull’avvio di una Commissione parlamentare d’inchiesta.

L’avvocatessa della famiglia, Laura Sgrò, ha denunciato che “si è fatta macelleria della vita di una persona, si è messa in piazza Natalina senza neanche chiederle nulla”. Infatti, secondo quanto ha detto la famiglia, nessuno, né il Vaticano né la procura di Roma, hanno avvisato i famigliari dell’indagine sullo zio. Delle presunte molestie, fra l’altro, Natalina ne aveva parlato soltanto con suo marito. Gli altri componenti della famiglia, in particolare la moglie oggi novantenne di Meneguzzi, Lucia, e i loro figli, hanno saputo delle stesse presunte molestie soltanto dal servizio de La7.

Ha detto ancora Laura Sgrò: “Si è parlato di una persona morta, Meneguzzi, che non si può più difendere. Di un magistrato che non avrebbe indagato, Domenico Sica, anche lui morto e che non si può più difendere. L’unica persona che poteva parlare, Natalina, non è stata sentita. La cosa era a conoscenza di noi tutti da anni: erano queste le carte impolverate portate in Procura dal Vaticano? Così è stata fatta vera macelleria, la dignità umana è stata davvero calpestata”.

La versione di Natalina

Natalina ha raccontato che all’epoca - cinque anni prima della scomparsa di Emanuela - non raccontò al padre dei timidi approcci dello zio. Ne parlò solo col fidanzato Andrea, poi diventato suo marito, e in confessione col padre spirituale della famiglia, successivamente diventato vescovo in Colombia: “Ma non c’era stato assolutamente nulla e le nostre famiglie rimasero sempre in ottimi rapporti”, ha continuato. Nel 1983, dopo che la sorella scomparve, fu condotta dai carabinieri insieme al fidanzato da Sica, “per rispondere se era vera quella cosa con lo zio di cinque anni prima”. “Per me era ormai nel dimenticatoio, ma ho raccontato tutto. Era stato uno ‘scivolone’ di un cinquantenne, che io non giudico bene, con una ventunenne, ma tutto era finito lì. E ora questa cosa insignificante viene presentata come lo scoop del momento”.

40 anni fa

Emanuela Orlandi il 22 giugno del 1983 uscì di casa vero le 16. Andò a lezione di musica in una scuola legata al Pontificio istituto di musica sacra in piazza Sant’Apollinare. Chiese a Pietro di accompagnarla, ma lui non lo fece perché aveva un altro impegno. Uscita dalla lezione, chiamò a casa da una cabina telefonica. Rispose la sorella Federica. Emanuela le disse che l’aveva fermata un uomo che le aveva chiesto se avesse voluto volantinare per la Avon Cosmetics. Federica le disse di non accettare e di tornare a casa per parlarne con i genitori. Dopo la telefonata Emanuela, insieme a due amiche, si diresse verso la fermata dell’autobus di corso Rinascimento. Verso le 19.30 le due amiche salirono su due autobus distinti, mentre Emanuela rimase sul marciapiede perché l’autobus che avrebbe dovuto prendere era troppo affollato. Da quel momento di lei non si seppe più nulla.

I mesi successivi

Nei mesi appena successivi alla scomparsa di Emanuela, la procura di Roma tenne aperta la pista famigliare. La magistratura, infatti, voleva vederci meglio sullo zio. Meneguzzi parlò davanti al giudice istruttore Ilario Martella nell’ottobre del 1985. Disse che il giorno della scomparsa si trovava a Torano di Borgorose, in provincia di Rieti, con la figlia Monica e con Anna Orlandi, un’altra sorella del padre di Emanuela, Ercole. Disse che con loro c’era anche Ercole che invece poi smentì, sostenendo che quel giorno era a Fiumicino.

Nei primi mesi le indagini su Emanuela vennero condotte da Margherita Gerunda che seguì l’ipotesi di un omicidio avvenuto dopo una violenza sessuale. Gerunda pensava che Emanuela fosse deceduta poco dopo la scomparsa e che il corpo fosse stato occultato.

L’identikit

Gerunda ascoltò anche un vigile e un poliziotto che sostennero che la sera del 22 giugno 1983 videro Emanuela parlare con un uomo. Fecero anche un identikit di questa persona. I giornali italiani, in queste ore, lo hanno pubblicato insieme ad una foto di Meneguzzi. I tratti somatici di quest’ultimo sono molto simili a quelli dell’identikit. La procura di Roma è anche su questo identikit che oggi sta lavorando seppure ai tempi Gerunda ritenesse che la testimonianza di queste due persone non fosse attendibile perché a suo giudizio i due cercavano soltanto visibilità sui giornali.

Pietro Orlandi ha voluto in conferenza stampa specificare come sia impossibile che l’uomo dell’identikit sia suo zio perché, ha detto, “quel giorno era in vacanza a Spedino, vicino a Torano, il paese dove andava la famiglia”. “Il che taglia la testa al toro”, ha detto Pietro. Che ha continuato: “Ma come lavorano? Possibile che ora non si vada a guardare a quello che già si sapeva all’epoca? Tra l’altro la sera della scomparsa di Emanuela, nostro padre telefonò per primo proprio allo zio, al telefono fisso del paese”.

Il ruolo dello zio

A sequestro avvenuto, in ogni caso, fu lo zio di Emanuela a prendere in mano le trattative della famiglia con i presunti rapitori. Fu Meneguzzi, infatti, a rispondere alle telefonate delle prime due persone, “Mario” e “Pierluigi”, che sostennero di aver sequestrato la ragazza. Non portarono mai una prova però. Mentre Meneguzzi decise di incaricare un agente dei servizi segreti, Giulio Gangi, per indagare privatamente sulla scomparsa di Emanuela. Gangi scoprì che un’auto che seguiva Meneguzzi apparteneva alla polizia. Ma di fatto non riuscì mai ad essere davvero utile alla causa.

La pista internazionale

Poco doppo Gerunda venne sostituita da Sica che abbandonò la pista famigliare e iniziò a seguire l’ipotesi di un rapimento condotto da un gruppo terrorista internazionale. Con ogni probabilità Sica fu influenzato da Giovanni Paolo II che, durante un Angelus, parlò esplicitamente di un rapimento chiedendo ai sequestratori di liberare la ragazza. Non solo, secondo quanto ha detto più volte Pietro, fu lo stesso Wojtyla a dire, durante un incontro con la famiglia, che il rapimento di Emanuela era un caso di terrorismo internazionale.

L’incontro del 2017

Nel 2017 l’allora sostituto della Segreteria di Stato vaticana, Angelo Becciu, incontrò Natalina Orlandi. Becciu le parlò del fatto che Pietro da tempo chiedeva con insistenza di ricevere la documentazione su Emanuela in possesso della Santa Sede. Natalina, in conferenza stampa, ha definito quell’incontro “ricattatorio”. Secondo quanto ha detto Natalina, Becciu le disse: “Suo fratello insiste per avere la documentazione, ma abbiamo questa cosa che la riguarda (ovvero le carte relative ai presunti abusi dello zio, ndr). Quindi dobbiamo divulgare anche questa storia”.

Ancora Pietro

L’11 luglio 2023, in conferenza stampa, Pietro Orlandi ha espresso poi il suo disappunto per il fatto che il padre spirituale di Natalina avesse confermato una notizia riferitale in confessione. Di per sé, infatti, ogni sacerdote è tenuto al segreto su quanto gli viene detto in confessione. Inoltre, Pietro si è domandato chi ha dato la notizia a La7. Ha detto: “Il servizio parlava dei procuratori Lo Voi e Diddi, mi aspetto una dichiarazione. Altrimenti bisogna pensare che il Vaticano sta cercando il modo di scaricare ogni responsabilità su altri, in particolare sulla famiglia”. E, quindi, ha lanciato un appello: “Il Vaticano le ultime briciole di dignità le ha calpestate ieri. Non pensavo che sarebbero scesi così in basso. Spero proprio che papa Francesco prenda dei provvedimenti. E spero che la Commissione parlamentare d’inchiesta passi perché il Vaticano non potrà controllare tutti i parlamentari che ne fanno parte”.

Per concludere, al momento, una sola cosa sembra certa. La procura di Roma, che sta indagando insieme all’aiuto di quella vaticana, sembra aver abbandonato l’ipotesi del sequestro portato avanti da un gruppo terroristico internazionale ed anche l’ipotesi, più volte emersa negli anni, di un coinvolgimento di qualche prelato della Santa Sede che avrebbe adescato Emanuela per motivi sessuali, e sembra essersi decisamente concentrata sulla pista famigliare. Anche se al momento, questa stessa pista che punta dritta sul ruolo dello zio di Emanuela, è ritenuta del tutto fuorviante dai componenti della famiglia stessa.

RG 07.00 del 12.07.2023 - Il servizio di Nina Fabrizio

RSI Info 12.07.2023, 16:26

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