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Cessate il fuoco tra Israele e Hamas, seconda fase in bilico

Tra negoziati incerti, pressioni politiche e violazioni reciproche, le possibilità che prosegua l’accordo “non sono altissime”: le valutazioni di tre esperti

  • Oggi, 06:43
  • Oggi, 06:47
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Palestinesi camminano tra le rovine di Gaza, il 26 febbraio.

  • Reuters
Di: Lorenzo Perren 

Oggi (sabato) si conclude formalmente la prima fase dell’accordo sul cessate il fuoco tra Israele e Hamas. In linea teorica domani (domenica) dovrebbe partire la seconda. Quando lo scorso 19 gennaio le parti avevano siglato l’intesa, si erano impegnate a concordare i prossimi passi della tregua durante queste sei settimane.

Ma questo non è successo: i negoziati sono continuati timidamente, tra temporeggiamenti, dietrofront e accuse reciproche. Ancora ieri (venerdì) le rispettive missioni diplomatiche sono rimaste distanti dal trovare un’intesa.

Attualmente siamo alla vigilia di una nuova fase senza che le parti ne abbiano definito tempi, modalità e obiettivi. Cosa possiamo aspettarci?

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Veicoli israeliani lungo il corridoio Filadelfia, lo scorso settembre.

  • Reuters

Prospettive sulle trattative

Quanto sono alte, dunque, le possibilità che una seconda fase si concretizzi? “Non altissime: immagino che ci sarà un prolungamento delle trattative”, stima Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica di Milano ed esperto di relazioni internazionali.

Sulla stessa linea d’onda è anche l’inviato USA in Medio Oriente, Steve Witkoff, che recentemente ha parlato di un’estensione della fase uno, un’eventualità che favorirebbe Tel Aviv. Da un lato consentirebbe di proseguire lo scambio di prigionieri e ostaggi, dall’altro permetterebbe all’esercito israeliano di restare a Gaza. La seconda fase dell’accordo implicherebbe infatti il ritiro definitivo delle truppe dall’enclave.

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L'inviato USA in Medio Oriente Steve Witkoff in uno scatto dello scorso gennaio

  • Reuters

“Netanyahu”, sottolinea Parsi, “non ha mai nascosto di non voler far terminare la guerra a Gaza”. Una linea condivisa dagli alleati di governo e dalla destra israeliana, come ricorda Valeria Talbot, responsabile del Centro Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI: “In Israele le forze di ultradestra premono per far saltare tutto e proseguire nell’obiettivo di sradicare Hamas”. Tuttavia, aggiunge Talbot, “c’è una forte pressione da parte dell’opinione pubblica per riportare a casa tutti gli ostaggi, vivi o morti”.

Hamas, da parte sua, ieri (venerdì) ha incalzato la comunità internazionale affinché faccia pressione su Israele per rispettare gli accordi. “Hamas ha tutti gli interessi nel procedere alla seconda fase: le truppe israeliane lascerebbero libera la Striscia e lui avrebbe tempo e modo di riorganizzarsi, militarmente e politicamente”, evidenzia Parsi.

Il peso di Trump

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Carri armati israeliani nei pressi del confine con Gaza, il 15 febbraio.

  • Reuters

Nel delicato quadro dei negoziati, si inserisce anche la visione di Donald Trump, che ha parlato di trasformare Gaza in un’oasi di pace e prosperità, anche con l’ipotesi di un trasferimento forzato della popolazione. “Il fattore Trump ha pesato tanto nel raggiungimento della tregua”, ha dichiarato Talbot. “Il suo supporto e allineamento alle posizioni del primo ministro israeliano è evidente, e non ha mai fatto menzione alla soluzione della questione palestinese né al riconoscimento di uno Stato palestinese. L’unica menzione fatta ai palestinesi è stata espressa quando ha parlato di dislocarli in Egitto e in Giordania”.

Una retorica che, secondo Parsi, coincide con la “Weltanschauung” di Netanyahu: “Il fine ultimo della sua politica è annettere Gaza e la Cisgiordania”. La retorica di Trump, inoltre, ha “normalizzato la logica della legge del più forte”, ignorando il diritto internazionale, come dimostrano le dichiarazioni sull’espulsione dei gazawi.

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Un carro armato israeliano a Jenin, in Cisgiordania, il 24 febbraio.

  • Reuters

Di contro, il piano del presidente statunitense “ha spinto i Paesi arabi – in primis l’Egitto e le monarchie del Golfo – a sedersi intorno a un tavolo per presentare proposte concrete per la ricostruzione di Gaza, con un loro impegno in primo luogo”, ha sottolineato la professoressa Talbot. Discussioni a questo riguardo si stanno tenendo in queste settimane e il 4 marzo si terrà un summit arabo in Egitto.

Un bilancio della prima fase

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Uno scorcio su Jabalia, nel nord di Gaza

  • Reuters

La prima fase ha raggiunto solo parzialmente gli obiettivi prefissati. Gli scambi di ostaggi e prigionieri sono stati effettuati, ma non senza tensioni: le parti si sono ripetutamente accusate di violazioni e hanno minacciato di interrompere il processo. Hamas ha spesso inscenato rilasci in cornici molto mediatizzate, che hanno suscitato indignazione in Israele. Collaboratori della Croce Rossa hanno invece riferito che ai polsi di alcuni prigionieri palestinesi rilasciati erano stati applicati braccialetti con la scritta: “Il popolo eterno non dimentica”. Lo stesso CICR ha esortato entrambe le parti a garantire il rispetto della dignità dei detenuti.

Il ritiro delle forze israeliane da Gaza, previsto dall’accordo, è stato solo parziale: alcune zone densamente popolate sono state abbandonate, ma aree strategiche – come il Corridoio di Filadelfia, tra Gaza ed Egitto – restano sotto controllo israeliano.

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Una conferenza stampa di Hamas per la riconsegna del corpo di quattro ostaggi, avvenuta il 20 febbraio.

  • Reuters

Anche l’afflusso di aiuti umanitari è stato inferiore alle aspettative. L’intesa prevedeva 600 camion al giorno, metà destinati al nord di Gaza, duramente colpito dai combattimenti. Sebbene il numero di convogli sia aumentato, non è chiaro se l’obiettivo sia stato costantemente rispettato. Israele ha imposto restrizioni sugli aiuti, secondo il Programma Alimentare Mondiale, rendendo più difficile la distribuzione”.

Se il quadro era già fragile, la tregua non ha impedito nuove vittime. Il Ministero della Salute di Gaza denuncia la morte di almeno 118 palestinesi per mano delle IDF durante il cessate il fuoco. Sul fronte opposto, si sono verificati attacchi in territorio israeliano, inclusi episodi come l’esplosione di tre autobus e un attacco nel nord del Paese che ha causato diversi feriti. Hamas non ha rivendicato gli attacchi e non ha espresso condanne esplicite.

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Hamas consegna le spoglie di quattro ostaggi

Telegiornale 20.02.2025, 12:30

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