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Cina contro i dazi UE: “Protezionismo sleale”

Pechino critica le tariffe sui veicoli elettrici - Prepara contromosse su commercio e investimenti e minaccia di sabotare il green deal europeo

  • Oggi, 06:49
  • Oggi, 06:50
China auto

L'Europa dipende enormemente dalla Cina per i suoi progetti di trasformazioni green, sia per l'approvvigionamento di materie prime che di elaborati

  • Reuters
Di: Lorenzo Lamperti/RSI Info 

“Protezionismo sleale”. Nella prima reazione ufficiale alla decisione della Commissione europea, la Cina ha etichettato così i dazi aggiuntivi imposti contro i suoi veicoli elettrici. Non una sorpresa, così come l’immediato richiamo alle “misure per salvaguardare fermamente gli interessi delle imprese cinesi”, in riferimento al ricorso presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il ventaglio di strumenti a disposizione di Pechino per la reazione alla mossa dell’Unione Europea è pronto già da tempo, e collaudato.

Il primo aspetto è quello retorico, fronte su cui la Cina mostrerà il suo volto più duro. Forti accuse, come quella di “grave violazione del commercio internazionale”, vengono accompagnate da avvertimenti più o meno espliciti. “I dazi non solo ostacolano la cooperazione commerciale e di investimento tra Cina e Ue, ma ritardano il processo di trasformazione verde dell’Ue”, si legge nella nota del ministero del Commercio. Il messaggio è chiaro. Parafrasando: “Senza di noi, l’Ue non è in grado di mantenere le promesse del Green Deal europeo”.

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Un’ammonizione che sfocia nel secondo campo di reazione di Pechino ai dazi, quello commerciale. Già negli scorsi mesi, a ogni passaggio dell’indagine di Bruxelles sui veicoli elettrici, è arrivata una più o meno significativa ritorsione. Prima l’avvio dell’indagine anti sussidi sulla carne di maiale europea, che colpisce soprattutto la Spagna, poi quella sui prodotti lattiero-caseari.

Il valore combinato delle merci interessate da eventuali dazi dovrebbe comunque essere inferiore ai circa 13,5 miliardi di dollari di export di batterie di veicoli elettrici da parte della Cina verso l’Ue. E, come spesso accade, non c’è chiarezza sul loro impatto. Sfruttando i tempi di indagine più estesi rispetto a quello di Bruxelles, aprire indagini di questo tipo rappresenta innanzitutto una mossa tattica che punta a fornire vantaggi negoziali.

La potenziale applicazione è dunque collegata all’esito delle trattative con l’interlocutore, in questo caso l’Ue. Via via che lo scontro si inasprisce, però, la Cina mostra di essere disposta ad azionare leve più sensibili. Nelle scorse settimane, il governo cinese ha reso nota una riunione con l’industria automobilistica nazionale. All’ordine del giorno, l’innalzamento delle tariffe dal 15 al 25% per le importazioni di veicoli europei a grossa cilindrata. Un problema per molti, ma soprattutto per la Germania, visto che circa il 30% delle vendite delle sue case automobilistiche dipende ancora dal mercato cinese.

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Il riferimento alla trasformazione green è però collegato all’enorme dipendenza accumulata negli anni dall’Europa, e in generale dall’Occidente, nei confronti della Cina su una serie di prodotti e materie prime fondamentali all’industria tecnologica verde. In primis pannelli solari e turbine eoliche, ma anche e soprattutto terre rare ed elementi chimico-minerali. Il 1° ottobre è peraltro entrato in vigore un pacchetto di norme del governo cinese sulle terre rare, che le pone ormai indissolubilmente sotto la gestione statale e le lega al concetto di “sicurezza nazionale”.

Ancora una volta, non vi è la certezza di restrizioni alle esportazioni, ma è un segnale impossibile da trascurare, visto che attualmente Pechino produce circa il 60% dei metalli delle terre rare del mondo e circa il 90% di quelle raffinate presenti sul mercato. Già negli scorsi mesi, sono state introdotte restrizioni all’export di gallio, germanio e grafite, cruciali per la produzione (tra le altre cose) di microchip e batterie. Resta difficile prevedere un intervento esteso e drastico, ma certo è un altro elemento nell’arsenale cinese.

RG 12.30 del 04.10.2024 - Andrea Ostinelli in collegamento da Bruxelles con Gino Ceschina

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C’è poi la direttrice degli investimenti. Secondo un report dell’australiano Climate Energy Finance, le aziende cinesi leader mondiali nel settore dell’energia pulita stanno investendo di più all’estero. Dai parchi solari alle fabbriche di batterie, dalle dighe idroelettriche alle linee di trasmissione, negli ultimi due anni sono stati annunciati piani di spesa per circa 100 miliardi di dollari in tecnologie pulite in tutto il mondo.

Tali investimenti coinvolgono direttamente anche l’Europa, in primis l’Ungheria, dove si stanno costruendo vasti impianti di produzione di batterie e auto elettriche, ma anche l’Italia, dove il colosso Ming Yang sta trattando gli ultimi dettagli per una fabbrica di turbine eoliche. Il tentativo è in questo caso quello di evitare le tariffe andando a produrre direttamente su suolo europeo.

In tutto questo, la Cina non archivia certo la direttrice politica. Lo stesso ministero del Commercio ha annunciato un nuovo round di colloqui con l’Ue per lunedì 7 ottobre, ribadendo l’auspicio a trovare una soluzione negoziale che soddisfi entrambe le parti. Come sempre, Pechino proverà fino all’ultimo a giocare sulle divisioni interne all’Ue, peraltro emerse chiaramente con il frammentato voto dei Paesi membri sui veicoli elettrici e l’esplicita opposizione della Germania ai dazi.

La scommessa è che, acuendo le contrapposizioni e amplificando i rischi, si possa ottenere un parziale abbassamento dei dazi aggiuntivi, dando forse qualche garanzia sull’eccesso di produzione. La strategia aveva funzionato nel 2013 sui pannelli solari. Non è per niente scontato che possa funzionare di nuovo.

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