Quando il comandante spagnolo Hernan Cortés entrò a Tenochtitlan, la capitale azteca, rimase affascinato da una città costruita sull’acqua. Era un’opera di ingegneristica che riusciva a controllare le inondazioni attraverso un sistema di canali, oltre a garantire ampio uso d’acqua. La popolazione era abituata a mantenere un’igiene superiore a quella dei contemporanei europei, fare il bagno era comune, esistevano anche i gabinetti e le fognature. La capitale, che da lì a poco sarebbe stata messa a ferro e a fuoco da Cortés e i suoi alleati, guadagnò la definizione di “Venezia del Nuovo Mondo”.
La decisione che presero gli spagnoli in seguito alla conquista di Tenochtitlan fu quella di coprire i laghi naturali, una scelta disastrosa di cui si pagano ancora le conseguenze a Città del Messico, la metropoli nata sulle sue rovine, che ogni anno combatte sia siccità che inondazioni. Nel frattempo però sono cambiate molte altre cose. Nel 1421 Tenochtitlan aveva una popolazione di 200’000 abitanti, oggi Città del Messico ne conta 22 milioni. A questo si aggiunge l’impatto dei cambiamenti climatici sull’aumento di temperatura e l’irregolarità delle piogge.
Oggi la fornitura d’acqua proviene principalmente da due fonti, le falde acquifere sono le più importanti, ma non riescono a rigenerarsi a causa della velocità di estrazione. Oltre il 25% dell’acqua viene, invece, da un sistema di dighe chiamato Cutzamala, da cui l’acqua viene pompata per centinaia di chilometri verso la capitale, a 2’200 metri di altitudine sul mare. I tagli alla fornitura d’acqua vengono regolarmente programmate in vari distretti durante l’anno per la manutenzione di vecchie tubature, attraverso le quali si stima si perda intorno al 30% dell’acqua che le attraversa.
Ci sono anche zone dove l’acqua corrente non è mai arrivata. La municipalità dovrebbe farsi carico di distribuire acqua potabile in tutta la città, trasportandola con i camion laddove non arrivano le tubature. In realtà la fornitura è molto irregolare, tanto che chi può permetterselo la paga privatamente. Alla scarsità di acqua si aggiunge la bassa qualità. L’acqua fornita dovrebbe essere potabile, ma spesso l’impurità è ovvia anche solo visivamente e la gran parte delle persone non la usa per bere o per cucinare, aggiungendo costi aggiuntivi nel comprare acqua purificata.
L’ultima dimostrazione di quanto inaffidabili siano i controlli di qualità si è registrata a fine marzo scorso quando gli abitanti del distretto Alvaro Obregon della capitale si sono accorti che l’acqua dai rubinetti aveva una consistenza oliosa e un’odore di benzina. Dopo un’iniziale silenzio delle autorità seguito da “assicurazioni” che l’acqua non fosse contaminata, si sono condotte le prime verifiche che hanno confermato la presenza di oli industriali e lubrificanti.
Al momento le soluzioni più discusse sono anche quelle a breve termine, ovvero riparare o costruire tubature aumentando l’efficienza nella rete distributiva. Si parla anche di approvvigionarsi da fonti più lontane. Meno risalto hanno progetti per un migliore uso dell’acqua, che ha un costo troppo basso e viene sprecata mentre interi quartieri rimango senza fornitura.
Un numero crescente di persone sta installando nelle proprie case semplici impianti per raccogliere l’acqua piovana e riutilizzano l’acqua della doccia per il gabinetto o per innaffiare piante. Sono migliorie semplici, a basso o zero costo che nascono dalla necessità, ma su larga scala farebbero la differenza.
I motivi che stanno causando la scarsità d’acqua oggi peggioreranno in futuro. La soluzione di prelevare acqua ad altre zone sposta solo il problema geograficamente, in un paese dove due terzi del territorio è già soggetto a siccità.