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Coi dazi Trump stuzzica la Cina, ma non troppo

A Pechino la mossa del presidente USA è vista come una tattica in chiave negoziale, più che il segnale di un’escalation - La svalutazione dello yuan tra le opzioni di risposta

  • 2 ore fa
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Le due potenze mondiali si marcano stretto

  • Keystone
Di: Lorenzo Lamperti 

Donald Trump è pronto a imporre nuovi dazi, la Cina si prepara a una possibile nuova guerra commerciale. Dopo qualche giorno di quiete, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato tariffe aggiuntive del 10% sulle importazioni di prodotti cinesi, fino a quando Pechino non metterà un freno al traffico dei precursori chimici utilizzati per produrre il fentanyl. Pechino respinge le accuse in materia e già da tempo i media statali si profondono in una serie di editoriali in cui criticano le “minacce” di Trump, invitato a non fare della Cina un “capro espiatorio” per la crisi dell’oppioide killer negli Stati Uniti. L’avvertimento è sempre lo stesso: “Non ci sono vincitori nelle guerre tariffarie. Se gli Stati Uniti continueranno a politicizzare le questioni economiche e commerciali, armando le tariffe, non lasceranno indenne nessuna parte”, scriveva qualche giorno fa il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista.

In realtà, il 10% imposto alla Cina è inferiore al 25% che riguarda Messico e Canada, su cui Trump ha usato sin qui un lessico molto più aggressivo. A Pechino, quel 10% è dunque visto più come una mossa tattica per assumere una leva negoziale, più che l’anticipo di un’escalation che ancora potrebbe non essere obbligata. Va ricordato che Trump ha invitato il presidente Xi Jinping alla sua cerimonia di insediamento, il quale ha poi mandato al suo posto il vice Han Zheng, il funzionario di più alto grado mai stato presente all’inaugurazione di un leader americano. Subito dopo, Trump ha annunciato di voler visitare Pechino per un summit con Xi, entro i primi cento giorni di mandato. Tutti segnali che la Cina interpreta come la volontà di trovare un accordo. Da capire quali possono essere i contorni di questo potenziale accordo e quali le richieste di Trump. Nel suo primo mandato, il tycoon aveva inizialmente mantenuto una linea più morbida con Pechino, con Xi che si impegnò e mediare i contatti con la Corea del Nord per i summit con Kim Jong-un. Stavolta, l’obiettivo potrebbe essere quello di un accordo sulla guerra in Ucraina, con la Cina chiamata a esercitare la sua influenza sulla Russia per arrivare alla fine del conflitto.

Un primo test sarà la gestione del caso TikTok, l’app di proprietà del colosso cinese ByteDance che dopo la proroga concessa da Trump ha ancora poco più di due mesi di tempo per la cessione a un acquirente statunitense per non venire bloccata. Da Pechino sono arrivate inedite aperture sulla vendita parziale, col possibile coinvolgimento di Bill Gates o di Elon Musk, che ha enormi interessi in Cina con Tesla e che viene considerato un potenziale interlocutore chiave in un’amministrazione altrimenti piena di falchi come il segretario di Stato Marco Rubio.

Ma, nel frattempo, la Cina ha già predisposto una serie di misure di emergenza per far fronte a un eventuale scontro commerciale. Nel 2018, Pechino si era fatta trovare impreparata. Con l’arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei Ren Zhengfei, capì che l’obiettivo della Casa Bianca non era solo quello di riequilibrare la bilancia commerciale, ma di fermare e soffocare l’ascesa della Cina. Fu quel momento chiave a cambiare la prospettiva del Partito comunista, che dalla lunga fase delle “opportunità strategiche” passò a quella delle “sfide senza precedenti”, poi ampliate dalla pandemia di Covid-19 e dalle turbolenze internazionali che sono seguiti. Per questo, negli ultimi anni Xi ha accelerato molto due strategie chiave: l’approfondimento del legame commerciale con il cosiddetto Sud globale e il perseguimento dell’autosufficienza tecnologica. L’obiettivo è quello di crearsi alternative, soprattutto coi Paesi partner presenti nei BRICS o nella Via della Seta, e rendersi meno permeabili alle sanzioni o restrizioni alle catene di approvvigionamento imposte dagli Stati Uniti.

Certo, l’impatto dei dazi di Trump si farà comunque sentire. Se davvero si arrivasse mai alle tariffe al 60% minacciate durante la campagna elettorale, l‘impatto sul PIL di Pechino potrebbe arrivare fino al 2,5%. Una brutta botta per la Cina, soprattutto perché i dati economici sul 2024 hanno mostrato che la dipendenza dalle esportazioni non è ancora stata superata, visto che i consumi interni continuano ad andare a rilento. Ecco perché, tra le ritorsioni studiate da Pechino c’è in prima fila la svalutazione dello yuan. Un renminbi più economico renderebbe le esportazioni cinesi meno costose per gli acquirenti d’oltreoceano, mitigando il danno alla competitività derivante dalle tariffe. Tra gli strumenti a disposizione di Pechino per avviare ritorsioni c’è la vendita in massa dei titoli del Tesoro americano, oltre all’imposizione di dazi incrociati probabilmente più alti di quelli inclusi nel ventaglio 7,5-25% del primo mandato di Trump. Difficile invece aspettarsi una rappresaglia contro le imprese americane. Anzi, nella visione di Pechino, i grandi manager americani sono interlocutori privilegiati. Basti vedere al modo in cui vengono pubblicizzate le frequenti visite in Cina di figure come Tim Cook, amministratore delegato di Apple che nel 2024 si è recato per ben tre volte nella Repubblica Popolare. Promuovere le relazioni con Cupertino & Co serve a sperare che i giganti made in Usa possano mitigare l’azione protezionistica dell’amministrazione Trump.

Attenzione anche alle possibili restrizioni sull’export di terre rare, risorse e metalli cruciali per lo sviluppo tecnologico e il green deal, come gallio, germanio e grafite. Il 1° dicembre scorso sono entrate in vigore una serie di misure che prevedono maggiori controlli alle spedizioni all’estero. Anche in questo caso, applicazione ed estensione delle norme saranno decise dall’entità delle tariffe della Casa Bianca. Nel frattempo, sono arrivati alcuni segnali sul fronte tecnologico. Il recente lancio del chip autoctono di Huawei, unito al successo improvviso e clamoroso dell’intelligenza artificiale di DeepSeek, vengono usati come nemmeno troppo impliciti segnali politici ai rivali. Come a dire: non potete fermare il nostro sviluppo, quindi è meglio se collaboriamo.

02:20

USA, scattano i dazi per Messico, Canada e Cina

Telegiornale 01.02.2025, 12:30

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