Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha riunito ieri, giovedì, il proprio Consiglio di sicurezza per discutere delle "operazioni al di fuori dei confini nazionali" contro le organizzazioni "terroristiche", tra cui il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
Da metà aprile l'esercito turco sta conducendo un'operazione nel nord dell'Iraq, dove schiera dai 2'000 ai 3'000 uomini, per colpire le postazioni del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan), anche con l'auslio di droni. E da lunedì il capo di Stato ha dichiarato di voler fare un’offensiva simile nel nord della Siria. Secondo una nota della presidenza, "sono state discusse misure aggiuntive alle operazioni in corso nel Paese e al di fuori dei nostri confini contro le organizzazioni terroristiche e tutti gli altri tipi di minacce contro la nostra unità nazionale". Lo scopo è quello di creare una fascia di sicurezza di 30 km, in parte già esistente, ma in cui rientrerebbe anche Kobane, città simbolo della resistenza delle milizie curde dell'YPG contro l'IS, che fu appoggiata dagli Stati Uniti. Per questo la Casa Bianca è contraria a una nuova offensiva turca.
Erdogan ha tenuto a precisare che "le operazioni in corso e da avviare per liberare i nostri confini meridionali dalla minaccia terroristica non mirano in alcun modo all'integrità territoriale dei nostri vicini e derivano dalle nostre esigenze di sicurezza nazionale". In gioco c'è anche la sopravvivenza di milioni di profughi siriani che nel nord-est hanno trovato rifugio dal regime di Bashar el Assad e che sono sfamati in larga dall'aiuto che ricevono attraverso il confine turco, sotto l'egida dell'ONU.
A proposito di curdi, la Turchia si è detta contraria all'adesione di Svezia e Finlandia alla NATO, accusandole di fungere da "alberghi" per i militanti di gruppi come il PKK e l'YPG. Già mercoledì, in occasione di un incontro ad Ankara assieme ai delegati diplomatici dei due paesi nordici, ha ribadito la sua opposizione alla loro integrazione senza "progressi concreti".