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Dove nasce l’IS K?

Il gruppo di terroristi che ha compiuto l‘attentato alla Crocus City Hall di Mosca fanno parte di un ramo dello Stato Islamico: la sezione K, ossia Khorasan

  • 24 marzo, 06:44
  • 26 marzo, 14:56
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Un'operazione contro l'IS K a Kandahar

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli 

Il gruppo di terroristi che ha compiuto l‘attentato alla Crocus City Hall di Mosca sarebbe legato, dando a questo punto per confermate le rivendicazioni giunte sino ad ora, all’IS K, ramo dello Stato Islamico (ISIL, Stato Islamico dell‘Iraq e del Levante, o IS, Stato Islamico dell‘Iraq e della Siria), sezione K, ossia Khorasan. Questo il nome della regione corrispondente oggi all’Iran nordorientale, dove l’IS locale, sorto ufficialmente nel 2015, vorrebbe costruire il nucleo di un Califfato esteso in tutta l’Asia centromeridionale, tra i territori che comprendono Iran, Afganistan, Pakistan e più a nord alcune delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, soprattutto Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan.

Da Al Qaeda all’IS K

Se l’IS K è un attore relativamente recente nella regione, apparso appunto solo una decina di anni fa, dopo che lo Stato Islamico, creato nel 2004 da Abu Omar Al Baghdadi in Iraq, era cresciuto parallelamente ad Al Qaeda, i gruppi regionali centroasiatici, ex sovietici, che si sono alleati con esso hanno invece una storia più lunga: i movimenti politici e terroristici come il Partito di rinascita islamica del Tagikistan o l’IMU (Movimento Islamico dell’Uzebkistan fondato da Juma Namangani e Tohir Yuldashev) sono nati negli anni Novanta, e insieme a molti altri, sono stati protagonisti di un’epoca che ha segnato la difficile transizione postcomunista in quei paesi che sino al 1991 hanno fatto parte dell’Unione sovietica e poi sono diventati indipendenti.

Il ritorno dei Talebani

Il crollo dell’URSS, definito da Vladimir Putin la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo, ha condotto negli stati dell’Asia centrale a una fase caratterizzata da terrorismo estremista anche di carattere religioso, conflitti interetnici e guerre civili, come quella in Tagikistan, che dal 1992 al 1997 ha provocato almeno 100mila morti. Se la Russia ha dovuto affrontare due guerre in Cecenia tra il 1994 e il 2009, in Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan i conflitti interni si sono internazionalizzati a partire dagli anni Duemila con la guerra nel vicino Afganistan e i flussi di gruppi radicali da un paese all’altro, con il baricentro della Valle di Fergana, crocevia del terrorismo islamico condivisa tra le tre repubbliche ex sovietiche. Non solo quindi gruppi locali, ma anche quelli internazionali, prima Al Qaeda e poi IS, hanno trovato in queste regioni serbatoi di reclutamento. Il ritiro degli USA e degli alleati occidentali dall’Afganistan nel 2021 con il ritorno dei Talebani a Kabul ha ridato slancio al fenomeno.

La Russia nel mirino

L’IS K ultimamente è stato attivo soprattutto in Afganistan, tra l’altro con la rivendicazione dell’assalto all’Ambasciata russa a Kabul nel 2022. Mosca è sempre stata nel mirino dello Stato islamico, in primo luogo per il fatto che l’IS ha raccolto l’eredità dell’islamismo indipendentista caucasico che ha combattuto contro la Russia già dai primi anni Novanta; in secondo luogo a causa dell’intervento russo in Siria a partire dal 2015, con Putin al fianco di Bashar Al Assad. I combattenti provenienti dalle repubbliche centroasiatiche sono poi il grimaldello ideale per le operazioni in Russia, come quella alla Crocus City Hallo di Mosca: al di là infatti delle questioni storiche e ideologiche è evidente che l’infiltrazione di cellule terroristiche in Russia da parte di gruppi tagiki, uzbeki e kirghisi è relativamente più semplice dal punto di vista organizzativo, a partire da aspetti pratici come quello linguistico e dal fatto che nel paese ci sono oltre un milione di cittadini provenienti dalle ex repubbliche dell’Asia centrale, la maggior parte proprio a Mosca.

La risposta di Putin

Di fronte all’attacco terroristico più grave a Mosca negli ultimi vent’anni, c’è da attendersi ora la risposta del Cremlino. Al di là della retorica vendicativa del presidente, è chiaro che la minaccia dell’IS, forse sottovalutata nella cornice del già complicato conflitto ucraino, farà scattare non solo misure restrittive interne, ma anche maggiore collaborazione internazionale nella lotta all’IS e alle sue diramazioni, sia con le ex repubbliche sovietiche direttamente interessate, sia con gli attori regionali principali, in primo luogo Iran e Cina. Con Pechino, che soprattutto nel passato ha dovuto fare i conti con gruppi separatisti islamisti nella regione dello Xingyang, la questione della sicurezza è uno dei punti condivisi da oltre due decenni all’interno della SCO, l’Organizzazione di Shanghai, cui partecipano anche vari paesi dell’Asia centrale a rischio destabilizzazione.

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Telegiornale 23.03.2024, 20:00

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