Fino a pochi anni fa non li conosceva nessuno. Adesso sono sulla bocca di tutti. Ma per capire quanto gli Houthi dello Yemen siano stati sottostimati, tra le milizie sciite del Medio Oriente, basta frequentare il viale al-Sabaeen della capitale Sana’a alle tre del pomeriggio di ogni venerdì, quando migliaia di miliziani invadono la strada a sei corsie e la piazza accanto alla moschea fatta costruire venti anni prima dal presidente Ali Abdullah Saleh. Tra i sostenitori prevale un misto di orgoglio identitario, rabbia repressa e indignazione per le ingerenze degli Stati Uniti in Medio Oriente: una storia molto lunga, che parte da prima della Rivoluzione islamica iraniana del 1979. La rammentano persone comuni, miliziani, ministri, a ogni contatto e intervista: adesso, il rafforzamento dell’immagine del nemico esterno nella guerra tra Israele e Gaza ha dato agli Houthi l’opportunità di mostrarsi al mondo, con le incursioni navali sul golfo di Aden e sul Mar Rosso, e ha consentito di coagulare attorno a loro il consenso della popolazione yemenita ridotta alla fame.
In un’esclusiva opportunità di accesso allo Yemen del Nord, nelle città di Sana’a e al porto di Hodeida, RSI vi racconta chi sono gli Houthi che si definiscono “i partigiani di Allah”.
Senza dimenticare tutti gli yemeniti che vivono sotto questo regime: pescatori costretti alla fame che vanno a pescare in acque internazionali per guadagnare di più ma vengono arrestati e torturati dai sauditi per il timore che si tratti di miliziani Houthi; mendicanti che vivono in condizioni ai limiti della dignità; ospedali affollatissimi dove i medici vengono fisicamente assaltati dai pazienti solo per firmare una ricetta mentre duecento persone al giorno si presentano all’accettazione con il colera.
In questo quadro, il blocco dei beni, le sanzioni al regime yemenita del Nord e il ritiro degli Stati Uniti dal sistema degli aiuti umanitari internazionali fanno ancora dello Yemen la peggiore crisi umanitaria al mondo, a dieci anni esatti dall’inizio della guerra.