Sono diverse le ragioni per cui Mariupol è importante, sia per la Russia, che per l’Ucraina. La prima è la sua posizione strategica sul Mare d’Azov. Da una parte è sempre stato un trafficato scalo commerciale, per tutto il Donbass, l’area più industrializzata dell’ex repubblica sovietica: acciaio, carbone, ma anche prodotti agricoli, con scambi verso la Russia e in direzione dell’Europa, attraverso il Mar Nero. Lo è stato durante il periodo sovietico, fino al 1991, e anche dopo che l’Ucraina si è staccata dall’Urss, nel 1991.
Dall’altra parte, nell’economia di questa guerra che è in corso quasi da un mese, è rimasta adesso l’ultima città sotto il controllo di Kiev lungo la striscia di terra che unisce le regioni a est, al confine con la Russia, con quelle a ovest e al distretto di Odessa, il maggiore porto ucraino. Le altre, da est a ovest, Berdyansk, Melitopol Kerson, sono già in mano russa. Verso Odessa è ora Mikolaiv ad essere assediata e il prossimo obbiettivo russo potrebbe diventare la grande città sul Mar Nero. Ipotizzando un’ulteriore avanzata verso oriente, le forze del Cremlino potrebbero puntare direttamente sulla Transnistria, repubblica non riconosciuta schiacciata tra Ucraina e Romania, dove dall’inizio degli anni Novanta sono presenti truppe russe.
Unire il Donbass alla Crimea
La presa di Mariupol consentirebbe comunque a Mosca di unire così il Donbass alla Crimea, annessa da Mosca nel 2014, e collegata direttamente con la Russia solo attraverso il ponte costruito sullo stretto di Kerch aperto nel 2019. Il corridoio è rilevante non solo dal punto di vista strategico-militare, ma anche per questione molto pratiche, una su tutto quella dell’acqua: dal 2014 il governo di Kiev ha bloccato le condotte verso la Crimea che dal Dniepr, vicino a Kherson, arrivano sino alla penisola ora russa.
Per Mariupol c’è poi la questione simbolica, che nasce nella sua giovane storia cominciata con la fondazione nel 1778, passata attraverso la Russia degli Zar, l’Unione Sovietica e l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991. Ma è soprattutto quella recente ad averne fatto la metafora della resistenza ucraina contro Mosca. All’inizio del conflitto nel Donbass, nel 2014, è stata al centro di duri scontri tra i separatisti filorussi e le forze ucraine, supportate dal battaglione neonazista Azov. Nato per l’iniziativa di due politici di estrema destra, Oleg Lyashko e Dmytro Korchinsky, l’Azov ha avuto come sede dal 2014 a Berdyansk, combattendo in tutto il sudest ucraino. Le milizie volontarie, sovvenzionate in parte anche da alcuni oligarchi, come Igor Kolomoisky, sono state decisive per la definitiva riconquista della città, con la situazione congelata poi con gli accordi di Minsk firmati nel febbraio del 2015. Da allora Mariupol è diventato il simbolo della lotta di Kiev, sempre con il timore di un attacco russo, e adesso anche della vendetta di Mosca.