È scaduto mercoledì l’ultimatum che il Governo etiope ha lanciato ai separatisti del Tigrè, la regione settentrionale del paese attualmente in conflitto con le autorità di Addis Abeba.
Il Governo aveva dato 72 ore ai leader del partito al potere nella regione per arrendersi. Questi hanno risposto che il loro popolo è "pronto a morire" in difesa della propria patria. In seguito a questo rifiuto, Addis Abeba ha invitato la comunità internazionale ad astenersi da "non graditi e illegittimi atti d'ingerenza" nei propri affari.
Lo scorso 4 novembre, il Primo ministro etiope Abiy Ahmed ha lanciato un’offensiva militare contro il Fronte di liberazione del popolo dei Tigrè (TPLF), il partito al potere nella regione, accusato di aver attaccato due basi militari federali e di voler destabilizzare il Governo centrale.
Secondo il TPLF, che respinge le accuse, queste sarebbero solo un pretesto per occupare territorio tigrino.
Assalto "implacabile"
Dopo la conquista delle città di Shire e Axum, l’esercito governativo si trova mercoledì alle porte della capitale Makallé, abitata da 500'000 persone e sede del TPLF. Le forze di Addis Abeba hanno minacciato un assalto "implacabile" se i difensori non deporranno le armi.
Il conflitto ha già provocato la fuga di migliaia di persone: più di 36'000 civili etiopi avrebbero già attraversato la frontiera per trovare rifugio nel vicino Sudan. Secondo l’UNICEF poi, circa 2,3 milioni di bambini hanno urgentemente bisogno di assistenza.
Secondo la Commissione etiope per i diritti umani, oltre 600 contadini stagionali non tigrini sono stati uccisi il 9 novembre nella città di Mai Kadra. Gli autori del massacro sarebbero una milizia informale di giovani tigrini e le forze di sicurezza leali alle autorità locali.