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Foreign fighters, problema europeo

La maggioranza dei Paesi dell'UE non vuole concedere il ritorno in patria ai concittadini unitisi all'IS. Karin Keller Sutter: "Preferirei venissero giudicati sul posto"

  • 19 febbraio 2019, 13:28
  • 22 novembre, 22:56
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Crolla il califfato ma l'europa non vuole i Foreign fighters

RSI Info 19.02.2019, 12:57

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Il numero dei combattenti detenuti nei campi di prigionia curdi assistiti dalle forze statunitensi cresce di giorno in giorno con il collasso dell'autoproclamato Stato islamico in Siria. Attualmente sono circa 800 di 50 nazionalità diverse, con 700 spose e circa 1'500 bambini. I Paesi europei (in maggioranza) non ne vogliono sapere di rimpatriarli come chiesto da Donald Trump. Finora solo il Belgio ha deciso di accogliere i bambini di meno di 10 anni.

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RG 12.30 del 19.02.19: il servizio di Paola Latorre con le dichiarazioni di Karin Keller Sutter

RSI Info 19.02.2019, 13:37

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Il problema tocca anche la Svizzera dove potrebbe rientrare una trentina di combattenti, dei quali cinque si troverebbero in detenzione in Siria e in Iraq. La consigliera federale Karin Keller Sutter, ai microfoni della radio romanda RTS, ha affermato che preferirebbe che i cittadini elvetici partiti per unirsi all'IS "venissero giudicati sul posto". Secondo la responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia, la priorità è la sicurezza della popolazione e delle forze dell'ordine svizzere. Processarli in Svizzera, ha sottolineato ancora la consigliera federale, sarebbe particolarmente complicato.

Gran Bretagna e Francia hanno già opposto un chiaro rifiuto: Londra ritiene che i crimini vadano puniti dove sono stati commessi, ha fatto sapere un portavoce di Theresa May.

In Inghilterra tenta di tornare Shamina Begun, partita per la Siria con due amiche quando aveva 15 anni. Oggi ne ha 19 anni e un figlio appena nato (l’intervista realizzata dal Times ripresa da Modem si può ascoltare nell’audio allegato).

02:45

MODEM del 19.02.2019 L'intervista a Shamina Begmun

RSI Info 19.02.2019, 12:36

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Dal canto suo la ministra della giustizia francese Nicole Belloublet ha detto a France 2 che Parigi continuerà a valutare "caso per caso". Berlino sarebbe più propensa a collaborare, ma "l'operazione è estremamente difficile", manca "un partner a cui appoggiarsi" anche per avere informazioni per garantire un perseguimento rapido dopo il rientro in patria. Tra i casi che preoccupano la cancelleria tedesca quello di Derya, origini turche che cresce in un piccolo paese della Ruhr. Del caso scrive il tabloid germanico Bild. Nel 2014 Derya conosce in rete Mario Sciannimanica, italotedesco nato e cresciuto a Leverkusen, noto negli ambienti jihadisti tedeschi. I due si sposano via Facebook. Passano due mesi e Derya fa la hijra, il pellegrinaggio, come viene chiamato il viaggio delle donne straniere che hanno deciso di unirsi all’IS. Il percorso è quello di centinaia di altri giovani. Germania-Turchia-Kilis, al confine con la Siria. Dall’altra parte ad attenderla c’è Mario. Dopo qualche tempo Derya e Mario hanno un bambino, poi si separano. Nel 2017 Derya scappa e riesce a tornare in Germania dove vive tuttora con il suo bambino.

La gestione di una situazione “molto esplosiva” interessa anche la Russia. Mosca ha iniziato a organizzare rientri di massa dopo il crollo del Califfato in Siria. In particolare il Cremlino ha rimpatriato all’inizio di febbraio una trentina di bambini le cui madri sono in carcere in Iraq in quanto sospettate di essere miliziane IS. In alcuni casi Mosca ha fatto rientrare in patria anche alcune donne e jihadisti “pentiti”.

ATS/ANSA/AFP/Swing

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