Safwat Kahlout è un giornalista palestinese di Al Jazeera, nato e cresciuto a Gaza. Per mesi ha raccontato il conflitto da dentro la Striscia, ma pochi giorni fa è riuscito a fuggire, trovando rifugio in Italia. Attualmente vive con la famiglia in un paesino vicino a Terni.
Safwat Kahlout, partiamo dalla fine, dalla fuga, come ha fatto a lasciare Gaza?
“Grazie all’aiuto del consolato italiano a Gerusalemme che ha comunicato con Israele, inviando una lista con i nomi di tutta la mia famiglia. Dopo mesi gli israeliani hanno dato l’approvazione e abbiamo potuto uscire dal valico di Rafah. Il giorno dopo siamo finiti al Cairo e poi su un volo per l’Italia. Ora viviamo a Terni in un villaggio tra le montagne”.
E cosa avete provato quando siete usciti dalla Striscia?
“Un misto di sensazioni. Eravamo felici di essere riusciti a scappare dalla guerra, ma anche tristi perché abbiamo dovuto lasciare tutto: la famiglia, la casa, quello che siamo riusciti a costruire in 30 anni. I miei fratelli, mio padre, gli amici, i colleghi sono tutti rimasti lì. Siamo in contatto con loro, non è che ho lasciato Gaza e non ci penso”.
Perché ha deciso di lasciare Gaza?
“È stata una decisione difficile. Però sono un padre di sette figli e mi preoccupo per la loro vita. Personalmente da giornalista ho visto tanti figli uccisi. E ci pensavo, non volevo trovare i miei figli sotto le macerie. Quindi ho deciso di fare questo passo, come tantissimi palestinesi che svendono le loro case e automobili per poter scappare con la famiglia in Egitto o verso altre destinazioni. È stato difficile, però dovevo fare così e sono uno dei fortunati che ce l’ha fatta”.
Safwat Kahlout
Dopo il 7 ottobre ha continuato a fare il giornalista per l’emittente Al Jazeera, correndo moltissimi rischi. Come faceva?
“138 giornalisti sono stati uccisi dagli israeliani e anche poco fa ho ricevuto la notizia di un collega che ha perso una gamba. Sapevamo che potevamo essere degli obiettivi perché raccontiamo la verità e durante le guerre c’è sempre una parte che non vuole che essa venga mostrata al mondo. Adesso, dopo mesi, tutto il mondo conosce la verità tramite i giornalisti palestinesi. Due dei miei colleghi di Al Jazeera sono stati uccisi, così come la famiglia del capoufficio di Al Jazeera a Gaza. Vivere e lavorare a Gaza è un rischio”.
Il premier israeliano Netanyahu ha definito Al Jazeera un canale terroristico e ha deciso di chiuderlo. Cosa ne pensa?
“Mi dispiace per questa decisione. Al Jazeera era professionale, raccontava la verità e Netanyahu ha paura della verità. Gli americani, gli europei, hanno criticato Netanyahu chiedendo di fermare questa guerra. È ovvio che lui non fosse felice della nostra copertura ed è giunto a questa decisione. Però la nostra causa palestinese merita che noi continuiamo a raccontare la verità”.
Domanda su Hamas, che è il primo nemico per i palestinesi. L’organizzazione terroristica si è scusata per la prima volta con la popolazione di Gaza lo scorso primo aprile: “Per le sofferenze causate dalla guerra, che però deve continuare”. Cosa ne pensa?
“Credo che tutta la comunità internazionale, Israele ed Hamas sono responsabili della sofferenza dei palestinesi. Noi non giustifichiamo la violenza del 7 ottobre, ma non giustifichiamo neppure che il popolo palestinese viva sotto assedio per 18 anni. Non abbiamo visto nessuno della comunità internazionale obbligare Israele a dare ai palestinesi, soprattutto a Gaza, i loro diritti”.
Da ultimo, ritornerà a Gaza?
“Io devo tornare a Gaza perché sono nato e cresciuto lì, ho dei ricordi, degli amici, la famiglia. Devo tornare a Gaza per ricostruire la mia patria, non posso lasciare che altri costruiscano i loro insediamenti. Gaza è la mia patria, la mia casa, dove ho vissuto e fatto tante belle cose”.