Tra le prime mosse di Donald Trump alla Casa Bianca c’è stata la dichiarazione dell’emergenza energetica nazionale, con lo scopo di espandere massicciamente la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti. Anche il ritiro dall’Accordo di Parigi sul clima, che concede agli USA maggiore libertà a medio termine nel consumo di combustibili fossili, si inserisce nello stesso contesto, insieme a provvedimenti puntuali come quello dell’eliminazione delle restrizioni alle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL). Secondo il presidente statunitense questa strategia dovrebbe contribuire da un lato attraverso la maggiore offerta interna a calmierare l’inflazione e dall’altro l’aumento dell’export aiuterebbe a ridurre il deficit commerciale.
Il duello geopolitico con la Russia
Non si tratta però solo di un progetto esclusivamente economico nella prospettiva MAGA (Make America Graet Again), ma rientra nella cornice più ampia di quello che è il duello geopolitico, ed energetico, con la Russia. Petrolio e gas sono infatti anche strumenti con i quali Washington e Mosca ormai da tempo si confrontano sulla scacchiera mondiale e soprattutto europea. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha mutato radicalmente il quadro degli equilibri energetici con la rapida e progressiva riduzione delle importazioni di gas e petrolio da parte dei paesi europei. Se da un lato il petrolio russo è stato parzialmente sanzionato, sia da Bruxelles che da Washington, il gas non è stato sottoposto a provvedimenti restrittivi occidentali, ma il ridimensionamento consistente dei flussi è arrivato con il blocco del transito deciso o dalla Russia (attraverso Bielorussia e Polonia) o dall’Ucraina (attraverso il proprio territorio), mentre la via diretta tra Russia e Germania è stata interrotta dal sabotaggio del gasdotto Nordstream, fatto saltare da un commando di Kiev. In ogni caso l’import europeo via pipeline si è ridotto in tre anni a meno del 10% sulla quota totale.
L’arma del gas naturale liquefatto
Diverso il discorso per il GNL, con la Russia che ne fornisce circa il 20% e con una tendenza in crescita. Secondo i dati dell’Unione Europea le mancate importazioni totali da Mosca sono state compensate principalmente da GNL da Washington, che ha fornito il 46% delle importazioni di gas liquefatto dell’UE nel 2023. Bruxelles prevede che l’offerta globale di GNL continuerà a crescere, trainata dall’aumento delle capacità di produzione e liquefazione dei paesi esportatori, con gli USA in prima fila: già nel 2022, l’Unione Europea e gli Stati Uniti di Joe Biden hanno adottato una dichiarazione comune sull’aumento del commercio di GNL e hanno espresso interesse nell’aumentare ulteriormente le importazioni. L’intenzione è quella di alleviare la pressione sui mercati globali del gas e ridurre i prezzi. Questa almeno una faccia della medaglia, visto che in realtà lo spostamento che sta avvenendo in Europa è quello del passaggio dalla dipendenza dal gas russo a quella del GNL a stelle e strisce, comunque mediamente più costoso.
Sanzioni alla Russia e compromessi transatlantici
Il piano di Trump è quello insomma di rafforzare la linea avviata già dal suo predecessore e cioè quella di esportare verso l’Europa sempre più GNL. Nuove sanzioni settoriali, da affiancare a quelle sul petrolio, potrebbero essere lo strumento per ridurre ulteriormente le esportazioni russe verso i paesi dell’UE e favorire in questo modo la crescita della quota statunitense. Nei prossimi cinque anni gli USA potrebbero raddoppiare le capacità per l’export e l’Unione Europea, come già segnalato più volte anche dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, spinge in questa direzione. Sulla sfondo ci sono anche la questione dei dazi a largo raggio minacciati dalla Casa Bianca e le possibili soluzioni di compromesso sul tavolo, do ut des.
Il rischio dei prezzi bassi per Mosca
La nuova politica energetica statunitense non è insomma solo fine a sé stessa, ma segue appunto gli interessi nazionali sulla scacchiera mondiale: prezzi del gas e del petrolio più bassi significano problemi in vista per un paese produttore come la Russia, che da sempre basa il suo sistema economico sull’export di idrocarburi. Se le sanzioni occidentali comminate dopo l’inizio della guerra in Ucraina hanno condizionato solo in parte la strategia di Vladimir Putin in Ucraina e il Cremlino sembra aver trovato comunque le contromisure, la stabilità dell’economia russa e di tutto il sistema putiniano è legata all’andamento dei prezzi e quindi delle entrate dello Stato: valori sotto i 30 dollari al barile per il petrolio potrebbero essere molto problematici per un periodo prolungato, ma al momento il Brent viaggia sugli 80 dollari al barile e anche il gas in Europa si aggira sui 40-50 euro per megawatt-ora, record negli ultimi sei mesi.
I giochi dell’energia sono insomma complicati e non dipendono solo dalle decisioni della Casa Bianca o dai desideri del Cremlino.
Presidenza Trump, l'analisi di Mario Del Pero
Telegiornale 21.01.2025, 20:00
Trump, il primo giorno
Telegiornale 21.01.2025, 20:00