“Io non parlerei di ritiro, parlerei di un ridimensionamento di lungo periodo, che però può essere rimodulato sulla base delle contingenze”, così Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa (RID), commenta le letture diverse (seguite dalle inevitabili polemiche) che la stampa italiana ha riservato nei giorni scorsi ai movimenti delle forze navali USA, in particolare delle portaerei, movimenti legati alla situazione delle numerose crisi in atto a cavallo del Mediterraneo.
“In questo momento la presenza aeronavale statunitense gravita soprattutto nel Mar Rosso, Golfo di Aden, perché c’è una campagna aereo-missilistica che gli USA hanno lanciato contro gli Houthi, in Yemen. La portaerei Eisenhower, che era rimasta a lungo nel Mediterraneo, è stata spostata nel Mar Rosso. Gli americani avevano nel Mediterraneo anche l’unità d’assalto anfibia Bataan, che è stata richiamata proprio di recente, però mantengono comunque una presenza permanente nella base di Rota (Spagna, oltre lo stretto di Gibilterra, nell’Atlantico n.d.r.), con 4 cacciatorpediniere - spiega Batacchi -. Rispetto a questi dispiegamenti noi possiamo dare una duplice lettura. Da un lato c’è il fatto che gli americani hanno fatto una scelta, quella del cosiddetto pivot (spostamento) verso l’Asia. Ormai da oltre un decennio hanno spostato il loro baricentro strategico verso il teatro Asia-Pacifico, è quella per loro l’attuale priorità. Questo non significa che gli americani stiano abbandonando il Mediterraneo, significa che modulano la loro presenza in base ai conflitti. Soprattutto significa che per la sorveglianza, il controllo del Mediterraneo, si appoggiano soprattutto e principalmente sulla Marina militare italiana. Questo è un fatto. Lo ha dichiarato più volte anche a noi di RID il Capo di Stato Maggiore della Marina militare, Enrico Credendino”.
E questo perché le risorse, anche per gli Stati Uniti, non sono infinite?
“Assolutamente sì (ricordo, comunque, che gli USA dispongono di 11 portaerei - ma la Nimitz è vicina al pensionamento - la Cina ne ha 2 (una terza è in arrivo) e che la Russia, in questo momento, non ha portaerei operative). In questi giorni c’è la richiesta del Pentagono per il bilancio dell’anno fiscale 2025 e questa richiesta prefigura uno scenario cosiddetto “piatto” cioè, sostanzialmente, le spese militari americane non aumenteranno come ci si potrebbe aspettare, per una questione molto semplice: c’è una politica di contenimento delle spese per via dell’enorme debito pubblico, per cui, anche gli americani, devono fare delle scelte. Il bilancio della difesa, come è noto, non è ancora stato approvato, e questo chiaramente ha un impatto anche sulla prontezza delle forze. Per cui, dovendo fare delle scelte, si guarda alla priorità e la priorità, nel medio-lungo periodo degli americani, è il confronto con la Cina, è il mantenimento della stabilità nel teatro Asia-Pacifico. Questo non significa che gli americani dimentichino il Mediterraneo, come dicevo prima, significa che la presenza militare viene, modulata a seconda delle circostanze”.
Pietro Batacchi
Questo potrebbe portare Putin a pensare di avere di fronte un avversario che non ce la fa a tenere testa a tutte le crisi in atto?
“I messaggi che arrivano a Mosca negli ultimi tempi non sono esattamente disincentivanti rispetto all’aggressività e all’assertività di Mosca, lo dimostra anche, non ultimo, lo scontro al Congresso sui fondi supplementari per gli aiuti all’Ucraina. Lo dimostrano, in parte, anche le dichiarazioni del candidato presidenziale dei repubblicani, Donald Trump. Una serie di segnali che Mosca interpreta nel modo che le è più congeniale, perché Mosca capisce molto bene il linguaggio della forza e interpreta, a proprio vantaggio, il linguaggio della debolezza”.
Un mancato aumento della presenza USA nel Mediterraneo potrebbe essere letto da Mosca come il fatto che Washington prima o poi mollerà la presa perché più preoccupata della Cina che dell’Ucraina?
“Questa è un un’interpretazione che Mosca non dà oggi, ma da oltre un decennio, da quando è stato messo, nero su bianco, nella strategia di sicurezza e di difesa americana, il fatto che la priorità sia il confronto con la Cina. Abbiamo visto quali sono state le azioni di Mosca in questi anni, a cominciare dal colpo in Crimea nel 2014. Non a caso”.
Che ruolo dovrebbe avere l’Europa?
“Mi aspetto che vi sia una crescita del protagonismo da parte dei Paesi europei. Soprattutto per l’Italia è una scelta obbligata. Noi, da questo punto di vista, non abbiamo alternative, se non incrementare le spese militari, darci una chiara politica di difesa e sicurezza, degli obiettivi chiari in termini di difesa degli interessi nazionali. Perché certi automatismi, una certa consapevolezza che la garanzia americana ci dava nel passato, oggi viene un po’ meno, e quindi questo piccolo vuoto che si crea deve essere in qualche misura riempito dalla nostra capacità di proiezione”.
Indipendentemente da chi vincerà le presidenziali USA, dobbiamo aspettarci comunque un ridimensionamento delle spese militari per la NATO?
“Quello che mi aspetto è che comunque gli americani ci lascino un po’ più spazio rispetto al passato, soprattutto se si tratta di vicende che hanno origine nel cosiddetto Mediterraneo allargato. Questo non significa che gli americani, come si dice, usciranno dalla NATO. Credo che neanche con Trump gli americani usciranno dall’alleanza atlantica (i primi ad avere interesse a restarci sono proprio gli USA), però quello che vedo è uno scenario in cui gli spazi di azione autonoma per un Paese come l’Italia aumenteranno, questo sì”.
Per l’Europa, alle prese con difficoltà economiche, sarà un problema aumentare le spese militari...
“Credo che, stando alle dichiarazioni di tutti i principali leader politici d’Europa, si andrà in quella direzione. Le spese militari sono già aumentate dal 2022 in Europa in maniera significativa, aumenteranno ancora di più per tutta una serie di ragioni: perché lo scenario è molto più complicato e competitivo rispetto a quanto non lo fosse 15 anni fa, perché la minaccia ha assunto un alto profilo (convenzionale e non); perché gli attori protagonisti sulla scena internazionale sono più di prima e sono più significativi. E poi c’è anche un’altra questione: un sistema-Paese, che affronta una competizione sempre più forte, ha tutto l’interesse a investire in un settore altamente strategico (e con alti ritorni) come quello militare. Io credo che, da questo punto di vista, l’Europa non abbia alternativa a essere più protagonista, in termini strategici, sullo scenario internazionale, ma per essere protagonisti ci vogliono gli strumenti, in questo caso lo strumento militare, che non serve per fare la guerra, attenzione! Serve per fare tre cose: aumentare la postura di deterrente di un Paese (per evitare che qualcuno lo attacchi), difendere l’interesse nazionale e il benessere delle comunità. Se poi la deterrenza fallisce e qualcuno minaccia l’interesse nazionale, è chiaro che diventa necessario intervenire. Rispetto a questa equazione, che regge il mondo da 3000 anni, io non vedo alternative”.
A questo punto potrebbero aprirsi diversi scenari. L’Europa potrebbe dotarsi di un esercito suo? Gli USA lo permetterebbero?
“Io non credo che nel breve-medio periodo ci dobbiamo aspettare un esercito europeo. Quello che ci si può aspettare, però, è una maggiore integrazione nell’ambito dell’Europa: cooperazioni strutturate, alleanze, alleanze industriali, una maggiore inter-operabilità tra gli eserciti europei e, soprattutto, la definizione di un pacchetto minimo di interessi”.
Dunque dobbiamo abituarci a un’Europa, a una NATO, con “meno” Stati Uniti?
“Forse sì. Quantomeno dobbiamo andare verso una NATO con più Europa, con più protagonismo dei Paesi europei e con più spesa militare da parte dei Paesi europei. Questo è quello che ci impongono gli scenari, che ci impongono degli attori come la Russia di Putin che, nel febbraio 2022, ha aggredito un Paese sovrano”.
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