Un viaggio lampo in Ungheria per provare a tenere viva la possibilità di un negoziato fra Russia e Ucraina. Papa Francesco parte venerdì per Budapest (farà ritorno a Roma domenica 30 aprile) dove incontrerà Viktor Orban. Ed anche se col premier ungherese vi sono distanze di vedute soprattutto circa la delicata questione dell’accoglienza ai profughi e ai migranti, Bergoglio insisterà sulla sua visione di un’Europa aperta ed accogliente verso tutti, un continente di pace a dispetto del conflitto in atto in Ucraina. Tutti i Paesi europei possono trovare le proprie radici più profonde proprio nell’aprirsi senza paura agli altri, e per quanto riguarda il conflitto in corso, possono aiutare a spingere la Russia e la stessa Ucraina a sedersi a un tavolo comune e ad aprire un negoziato.
Non è un caso se proprio poche ore prima del decollo per Budapest nell’agenda di Francesco è stata inserita in Vaticano un’udienza con il primo ministro dell’Ucraina Denys Shmyhal. Il premier, che sarà a Roma da mercoledì per partecipare, presso il Palazzo dei Congressi, alla Conferenza Bilaterale sulla Ricostruzione dell’Ucraina e pronunciarne le conclusioni insieme alla presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni, si confronterà con il Papa sui temi più delicati, fra questi anche la disponibilità della Santa Sede ad offrire il proprio contributo super partes per un negoziato di pace.
Una strada non facile
La strada che la Santa Sede vuole percorrere non è facile. Fin dall’inizio del conflitto Francesco ha condannato l’invasione, ma nello stesso tempo ha spiegato come l’abbaiare della NATO ai confini della stessa Russia abbia in qualche modo provocato Vladimir Putin. Così il Papa si è detto pronto ad andare a Kiev, ma soltanto se avrà la possibilità anche di recarsi a Mosca. È una posizione, quella vaticana, che cerca un equilibrio non facile fra le parti, ma che in questo momento scontenta soprattutto la parte ucraina che ritiene che la Russia non possa essere considerata un interlocutore paritetico.
Il primo ministro ungherese
L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede nelle scorse settimane è tornato non a caso ad attaccare i testi della Via Crucis del Venerdì Santo avvenuta al Colosseo e alla quale Francesco non ha partecipato per via del freddo. Nella decima stazione la meditazione è stata letta da un ragazzo russo e da un altro ucraino. Il giovane di Mosca ha raccontato di aver perso il fratello nella guerra in Ucraina e di non aver saputo più nulla né del padre né del nonno chiamati al fronte. “Dimentica di dire che i suoi parenti sono andati in Ucraina per uccidere non solo il padre del ragazzo ucraino ma tutta la sua famiglia, e non viceversa”, ha detto Andrii Yurash, ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, spiegando di aver saputo dei testi della Via Crucis soltanto dai media.
Per ora nessun negoziato
La diplomazia pontificia sta cercando in tutti i modi di convincere le parti a sedersi a un tavolo ma finora non ha avuto risposte positive. “Siamo tutti affamati di pace e questa pace non può essere raggiunta se non si percorrono cammini di riconciliazione”, ha detto proprio in queste ore l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, nel suo intervento pronunciato in Liechtenstein nel corso della conferenza “La diplomazia e il Vangelo”. Il “ministro degli esteri” della Santa Sede ha evidenziato come “la diplomazia pontificia non ha interessi di potere: né politico, né economico, né ideologico”. Può pertanto “rappresentare con maggiore libertà agli uni le ragioni degli altri e denunciare a ciascuno i rischi che una visione autoreferenziale può comportare per tutti”. Gallagher è consapevole come la strada proposta dalla Santa Sede non sia semplice: purtroppo, ha infatti continuato, “malgrado tutti gli sforzi del Santo Padre e della Santa Sede, ancora non si è aperto uno spiraglio utile per favorire una mediazione di pace tra la Russia e l'Ucraina”. E ancora: “Anche se al momento non sembrano esserci spiragli di apertura per eventuali negoziati non bisogna mai perdere la speranza e, soprattutto i credenti in Cristo, devono mantenere vivo l'ideale della pace e la fiducia in Dio che questa guerra finirà, anche se non sarà la fine immaginata dal presidente Zelensky o dal presidente Putin”.
Serghei Lavrov a New York all'ONU
Telegiornale 24.04.2023, 12:30