Quali gli scenari per Gaza? Lo abbiamo chiesto a Claudio Bertolotti, analista strategico, direttore esecutivo di Start InSight ed esperto dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).
L’esercito israeliano consiglia ai palestinesi di lasciare la Striscia di Gaza e di andare in Egitto. Sono in corso bombardamenti di Israele mirati a obiettivi strategici. Sono dei segnali che autorizzano a pensare che un’operazione con l’impiego di forze di terra possa avvenire in tempi relativamente brevi?
“È abbastanza probabile, i tempi potrebbero essere effettivamente molto brevi. In più, l’apertura dopo la chiusura del fronte, del passaggio a nord verso l’Egitto e la possibile riapertura in tempi molto brevi, potrebbe essere stata coordinata proprio tra Israele e l’Egitto. Permetterebbe un deflusso di popolazione civile quanto più numeroso possibile. Questo per evitare quegli effetti collaterali che un’operazione terrestre, per forza di cose, porterà come esito dell’operazione offensiva a danno di Hamas. Un’azione che, come già successo per le precedenti operazioni militari, porterà con sé anche vittime civili tra gli abitanti, in particolar modo delle aree urbane”.
A dare la prospettiva di quello che potrebbe essere questo attacco è stato lo stesso premier Netanyahu in un colloquio con il presidente Stati Uniti Biden: “Dobbiamo entrare a Gaza, l’ho avvisato, dobbiamo andare dentro”. Cosa vuol dire? Cosa può accadere nei prossimi giorni?
“La decisione politica è ampiamente condivisa dagli israeliani, ma l’aspetto operativo vero e proprio potrebbe offrirci due diverse tipologie di scenario. Il primo scenario è quello di un’operazione militare con una cornice di sicurezza molto forte, ma l’impiego di unità terrestri e unità di fanteria leggera e d’élite per andare a eliminare le posizioni e le figure chiave di Hamas. Questa è un’ipotesi possibile, ma poco probabile. Personalmente ritengo invece più probabile l’ipotesi di un intervento di massa sostenuto da un significativo supporto di fuoco aereo, ma anche di carri armati a nord e a sud di Gaza, con l’impiego di unità terrestri protette, quindi con veicoli corazzati ma con ampio personale appiedato, che poi si vedrà impegnato in un combattimento urbano. Si tratta dell’ultimo degli scenari auspicabili per uno Stato maggiore che pianifica un’operazione militare. Ma Gaza è un territorio ad alta densità di popolazione e dunque non ci sono alternative valide”.
Gaza è una collina, piena di cumuli e macerie, che copre una rete di cunicoli e di gallerie. Come si può ipotizzare un attacco, strategicamente?
“Quello che possiamo immaginare è che Israele possa schierare le unità corazzate da nord, da sud, sulle alture e nelle aree agricole extraurbane, così da garantire il supporto per le forze impiegate in avvicinamento all’area urbana. Il problema è che la città limita l’impiego di artiglieria e di mezzi corazzati, anzi li rende estremamente vulnerabili. Questo Hamas lo sa molto bene. E si è preparata. Dobbiamo immaginare che la struttura difensiva o le linee di strutture difensive costruite da Hamas nel tempo non sono più i tunnel precari costruiti 20 o 30 anni fa, ma sono vere e proprie opere ingegneristiche in grado di garantire la comunicazione e vie di fuga alternative ai terroristi di Hamas, che potranno comparire e scomparire dal campo di battaglia”.
Secondo lei si va verso uno scenario che prevede l’utilizzazione sul terreno dei 300’000 riservisti israeliani che sono stati richiamati in questi giorni?“
“La maggior parte dei 300’000 riservisti verrà utilizzata per la sicurezza delle infrastrutture, per i servizi logistici, per i servizi di supporto al combattimento ed eventualmente, soltanto in una seconda fase, per l’occupazione militare. Non invece in operazioni di combattimento in prima linea nella prima fase della guerra, nella quale sarebbe utilizzato solo l’esercito professionale”.
La decisione di dover agire è imposta dagli eventi, che non offrono alternative. Ritengo probabile l’ipotesi di un intervento di massa sostenuto da un significativo supporto di fuoco aereo, ma anche di carri armati a nord e a sud di Gaza, con l’impiego di unità terrestri protette, quindi con veicoli corazzati ma con ampio personale appiedato, che poi si vedrà impegnato in un combattimento urbano.
Claudio Bertolotti
Gli ostaggi in mano ad Hamas frenano questo attacco?
“Sì, gli ostaggi sono un limite, ma anche un rischio calcolato. La decisione di dover agire è imposta dagli eventi, che non offrono alternative. Saranno auspicabilmente oggetto di negoziazione tra le parti. O perlomeno ci si auspica che questo effettivamente possa avvenire. Ma non dobbiamo dimenticare che Hamas, o meglio quella componente di Hamas che ha portato avanti le azioni ai danni di Israele e che in un certo senso ha trascinato tutta l’organizzazione, non è più l’organizzazione che abbiamo conosciuto negli anni passati. Oggi è un movimento che è stato fortemente permeato anche dall’esperienza jihadista del modello Stato islamico. Questo nelle sue manifestazioni più violente, anche attraverso l’uso dei social network, attraverso i quali diffonde immagini cruente ai danni dei civili. Quindi temo che il futuro degli ostaggi possa non essere affrontato con ottimismo”.
I leader di Hamas dicono di essere pronti per ogni scenario, anche quello di una guerra lunga. E diversi analisti pensano che sarà un’operazione lunga, cruenta e forse anche di una violenza che a Gaza non abbiamo mai visto. È verosimile pensarlo?
“Sì, temo di sì. Questo è lo scenario che ritengo essere più probabile e anche più pericoloso, non soltanto per le dinamiche interne a Israele e ai territori palestinesi, ma all’intero di tutto l’arco regionale, con il rischio di coinvolgimento di quei gruppi jihadisti che sono in grado di muoversi sulle alture del Golan e anche di Hezbollah in Libano. Vorrebbe dire che ci potrebbe essere un coinvolgimento diretto anche del Libano e di tutti i profughi palestinesi che eventualmente potrebbero rispondere alla chiamata o al richiamo della jihad, che di fatto ha avuto inizio con l’azione di Hamas di questi giorni. Questo è un evento straordinario, non rientra nelle dinamiche delle conflittualità alle quali finora abbiamo assistito. Ci riporta forse indietro di 15-20 anni ma con un’amplificazione della violenza, anche attraverso la comunicazione massmediatica, che non ha precedenti”.
Potrebbe cambiare anche il quadro internazionale?
“Sì, il rischio c’è. Per l’interesse di alcuni attori, in particolar modo la Russia, che in questo momento non può che avvantaggiarsi dalla distrazione dell’Occidente in Medio Oriente. Gli Stati Uniti sono in piena campagna elettorale. Questo evento potrebbe portare in maniera bipartisan, repubblicani e democratici, a rivalutare l’effettivo impegno in Ucraina, magari anche riducendolo. Guardando al contempo con più favore invece al supporto nei confronti di Israele”.
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