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L’Artico, nuovo Eldorado da conquistare

La Russia è l’attore più potente, ma i Paesi NATO stanno recuperando terreno, senza dimenticare le mire della Cina alleata di Mosca – In ballo risorse energetiche e minerarie e le rotte navigabili

  • 3 ore fa
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Già durante la Guerra Fredda l’Artico ha avuto un’importanza strategica fondamentale, e ora la nuova corsa è lanciata

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Di: Stefano Grazioli 

Durante la Guerra Fredda l’Artico ha avuto un’importanza strategica fondamentale, poiché Unione Sovietica e Stati Uniti si trovavano qui a contatto diretto. Per decenni le due superpotenze si sono fronteggiate tra voli di bombardieri intercontinentali e sottomarini nucleari. Poi il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS hanno allentato le tensioni militari e negli anni Novanta si è assistito alla cooperazione tra Mosca e Washington, insieme con tutti gli altri stati adiacenti (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia), espressa ad esempio nella fondazione del Consiglio artico, la principale piattaforma intergovernativa dedicata soprattutto alle questioni ambientali e allo sviluppo umano della regione.

Negli ultimi due decenni, oltre all’attenzione crescente al tema climatico, si è aggiunta la questione delle risorse energetiche e minerarie e più recentemente è ritornata all’ordine del giorno quella militare, soprattutto in seguito alla prima crisi tra Russia e Occidente del 2014, con l’avvio della prima guerra nel Donbass, e poi in maniera più chiara dal 2022 con l’invasione dell’Ucraina.

Il ruolo della Russia

La Russia è l’attore più potente nell’Artico, anche solo per i suoi 24mila km di confine, e già nel 2007 il Cremlino ha fatto piantare una bandiera russa a una profondità di oltre 4’000 metri sotto il Polo Nord, per rivendicare simbolicamente la facoltà di sfruttamento delle materie prime, dal gas al petrolio passando per le terre rare e i minerali preziosi. Più della metà delle terre emerse e la maggior parte delle acque costiere artiche appartengono a Mosca, per la quale rivestono un ruolo fondamentale anche per il futuro modello economico, centrato sull’export: l’80% del gas e il 17% del petrolio russi vengono prodotti già nell’Artico e la tendenza è in aumento; circa il 70% delle riserve inutilizzate di petrolio e gas si trovano a nord del Circolo Polare Artico. Non solo: la Russia ha riaperto o costruito ex novo una cinquantina di basi militari, tra cui 13 basi aeree, 10 stazioni radar e 20 posti di frontiera.

Il Cremlino ha modernizzato la Flotta del Nord e ha a disposizione almeno 40 navi rompighiaccio. I sottomarini nucleari russi sono in grado di navigare dal Mare di Barents tra la Scandinavia e le isole Svalbard (Norvegia) e sotto i ghiacci lungo la costa della Groenlandia orientale senza essere individuati, evidenziando le lacune difensive della NATO. La guerra in Ucraina e l’accelerazione dello spostamento degli equilibri geopolitici mondiali hanno offerto inoltre a Mosca altri incentivi per collaborare con la Cina, membro osservatore permanente nel Consiglio dell’Artico. Con l’entrata nell’Alleanza Atlantica di Finlandia e Svezia il fronte occidentale si è rafforzato, ma non ancora a sufficienza e anche in questo contesto vanno lette le esternazioni di Donald Trump a proposito della Groenlandia, isola che appartiene alla Danimarca.

La NATO in recupero

L’Occidente vuole colmare il divario militare nei confronti della Russia nell’Artico, espandendo la propria area di influenza: l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO, paesi giunti nell’Alleanza dopo l’invasione russa dell’Ucraina, potrebbe aiutare in questo senso e consentirà comunque ai paesi artici di collaborare più concretamente. Già recentemente Washington ha concordato con Norvegia, Svezia e Finlandia che le forze armate statunitensi possano utilizzare strutture militari nei paesi del Nord Europa; inoltre, Stati Uniti, Canada e Finlandia vogliono cooperare per costruire nuove navi rompighiaccio. Attualmente gli USA ne hanno una sola a disposizione.

Dal punto di vista strettamente militare il controllo del cosiddetto varco di GIUK (Groenlandia, Islanda, Regno Unito-UK) da parte dei paesi NATO garantisce l’accesso all’Oceano Atlantico e la rotta marittima verso la costa orientale degli Stati Uniti. È stato un punto critico sin dalla Seconda guerra mondiale, ma ora è più importante per la sicurezza delle vie commerciali che non per quella militare. Non è però un caso che il varco sia tornato a essere una delle principali preoccupazioni marittime strategiche dell’Alleanza Atlantica e anche del nuovo inquilino della Casa Bianca che vorrebbe fagocitare la Groenlandia. La sfida, strategica e tecnologica, oltre il Circolo polare si gioca quindi sulla falsariga di quella cominciata con la Guerra Fredda e poi congelatasi negli anni Novanta, con la differenza che questa volta, soprattutto sul lato dell’Artico Pacifico, si sono affacciati nuovi attori, come la Cina, schierati a fianco della Russia. Negli ultimi dieci anni la cooperazione tra Mosca e Pechino si è rafforzata anche sulla direttrice nordica, seguendo la linea di una partnership strategica determinata da scopi comuni e interessi condivisi.

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Artico e Groenlandia delle mie brame

Modem 09.01.2025, 08:30

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