Sono passati due mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad e la Siria sta attraversando una fase di transizione complessa. Il nuovo presidente ad interim, Ahmed al-Sharaa, sta cercando di guidare il Paese verso la stabilità. Ma cosa ne pensa chi, come la diaspora siriana, ha vissuto il regime da lontano? Per capirlo, Modem, il nostro magazine radiofonico di approfondimento, ha parlato con Anwar Al Bunni, avvocato, attivista per i diritti umani ed esule siriano, oggi alla guida del Centro siriano di ricerca e studi giuridici a Berlino.
“Sono molto ottimista per quello che stanno facendo le nuove autorità siriane” esordisce l’avvocato, sottolineando la fiducia riposta nel governo attuale. Attualmente “tutto sta andando bene, molto meglio di quello che ci si poteva aspettare”, senza una Siria “dilaniata da vendette incrociate”, come molti osservatori paventavano.
In questa fase di transizione, la Siria si preparare a redigere una nuova costituzione che, rassicura Al Bunni, non sarà basata sul Corano. “In Siria nessuno vuole che sia la sharia a guidare la vita delle gente”, dice l’avvocato, avvertendo però che è ancora troppo presto per parlare di un primo testo costituzionale. “Lo faremo fra due o tre anni, quando la situazione sarà più calma”.
Una bozza di Costituzione è stata formulata dal Centro siriano di ricerca e degli studi giuridici (di cui Al Bunni è presidente). L’abbozzo tiene conto anche delle differenti religioni ed etnie presenti nella regione. “Noi non parliamo di minoranze, ma di cittadini siriani”, spiega l’avvocato ai microfoni della RSI, precisando che nel testo è stato proposto “un nuovo potere legislativo, un Parlamento in cui troveranno spazio in modo equo tutte le minoranze”. Anche i diritti delle donne sono contemplati. “La nostra bozza prevede il rispetto dell’uguaglianza di genere: questo principio esiste nero su bianco, è un fatto certo”.
Intanto, mentre il quadro che delinea Al Bunni è confortante, rimangono le insidie dello Stato Islamico che, attraverso forze regionali, potrebbe concretizzare il rischio di nuova guerra civile. “Non dobbiamo combattere l’estremismo islamico con le armi, ma mostrando loro che il nuovo cammino porta risultati in termini di pace e di prosperità, in modo democratico e pacifico”.