L’analisi

La caduta di Bashar al Assad, una sconfitta per Putin

L’uscita di scena del presidente siriano non si traduce però con la fine delle relazioni tra i due paesi; Mosca deve preservare le sue basi navali di Tartus e Latakia

  • 9 dicembre 2024, 10:44
  • 9 dicembre 2024, 15:36
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Le prime pagine dei giornali

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Di: Stefano Grazioli 

Il rapido sviluppo degli eventi, con la fine del regime di Bashar al Assad e il suo arrivo a Mosca, deve essere visto non solo nel contesto specifico della guerra in Siria, ma in quello internazionale, della rete delle complesse alleanze, dentro e fuori la regione mediorientale, tra gli attori esterni. Tra questi la Russia è stato uno di quelli fondamentali a fianco della Siria, insieme all’Iran e alle milizie di Hezbollah. La velocità, poco più di dieci giorni, con cui la variegata alleanza ribelle guidata da dall’HTS (Hayat Tahrir al-Sham) è arrivata a liberare Damasco, praticamente senza incontrare resistenza dopo oltre dieci anni di un devastante conflitto civile, indica che dietro le quinte la decisione della fine dell’era Assad sia stata presa consapevolmente e in maniera coordinata da parte dei suoi sostenitori.

Il Cremlino in particolare, che durante la guerra civile, sia con l’intervento iniziale nel 2015, che con il supporto negli anni successivi, ha svolto un ruolo fondamentale per la tenuta del sistema di Assad, ha fatto un passo indietro, posto di fronte al nuovo quadro del contesto regionale, creatosi con l’avvio della guerra tra Israele e Hamas nello scorso anno e gli spostamenti di equilibri tra i vari paesi in conflitto, dall’Iran al Libano passando per la Turchia. Senza considerare gli Stati Uniti, presenti in Siria anche con un contingente militare.

Sconfitta per Putin

Se la sconfitta di Bashar al Assad è dunque una sconfitta per Vladimir Putin, il capitolo delle relazioni tra Siria e Russia non è però certo chiuso, come non è certo finito il ruolo nella regione da parte di Mosca, che al momento deve fare buon viso a cattivo gioco per conservare i propri interessi, nella cornice geopolitica più ampia che comprende altre scacchiere, la più importante delle quali il Cremlino è l’Ucraina, dove il duello di fondo è quello con gli USA. Le scelte di Putin sono sempre dettate dal realismo e dal pragmatismo e soprattutto non sono improvvisate: la fine dell’appoggio ad Assad è stato esternamente repentino, ma la possibilità era stata messa evidentemente in conto, conseguenze comprese. Non è un caso appunto che la Russia stia mantenendo un basso profilo nella fase ancora confusa di transizione, ma abbia già annunciato di essere in contatto con gli ormai ex ribelli e nuovi padroni ora a Damasco, che avrebbero garantito la sicurezza delle strutture militari russe in territorio siriano.

Il riferimento è soprattutto alle basi navali di Tartus e Latakia, che rappresentano per la Russia gli interessi reali. La presenza sul Mediterraneo risale ai primi anni Settanta, ai tempi della Guerra Fredda e dell’Unione Sovietica, e si è poi rafforzata soprattutto negli ultimi quindici anni nella scia dei rapporti militari sempre più stretti tra i due paesi. Se Mosca dovesse perdere l’accesso in conseguenza del cambio di regime a Damasco sarebbe un ulteriore ridimensionamento alle ambizioni di Putin di continuare a giocare un ruolo importante nella regione, ma gli sviluppi sono ancora tutti da vedere.

Vasi comunicanti

Quello che è certo, come mostra ad esempio il caso dell’Afghanistan, dove il Cremlino sta riallacciando i rapporti con i talebani, dopo la disastrosa uscita occidentale e il ritorno appunto degli islamisti a Kabul, che la Russia è in grado di perseguire i propri interessi lasciando aperte tutte le porte. Al di là quindi di chi arriverà al potere in Siria, o nelle aree di interesse russo, nella prospettiva della realizzazione di uno stato federale con la spartizione dei territori, gli sviluppi sono legati in definitiva soprattutto a ciò che accadrà tra i grandi player della regione e i tipi di accordo che verranno trovati. Lo scenario siriano è legato a quello ucraino, anche solo per il ruolo della Russia: se è incerto che il doppio impegno militare possa essere stato insostenibile per Mosca, e da qui l’eventuale scelta obbligata di abbandonare il dossier meno urgente lasciando spazio soprattutto alla Turchia, è probabile che i conti vengano fatti complessivamente su altri tavoli. I vasi sono insomma comunicanti.

Nella nuova cornice che si sta definendo con il prossimo arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump i dossier si sovrappongono, con gli stessi giocatori su tavoli diversi. Da un lato il presidente eletto statunitense ha già avanzato l’ipotesi di ridurre gli aiuti a Kiev e cercare una soluzione veloce alla guerra in Ucraina; dall’altro la Russia, che ha in Siria ha lasciato il campo prima di tutti alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, può contare probabilmente anche sul ruolo di mediazione di Ankara, come avvenuto nei primi negoziati di Istanbul nell’aprile del 2022. I rapporti tra Mosca e Ankara sono da sempre incanalati sul binario del pragmatismo e dei vantaggi reciproci: Putin ha prima già lasciato carta bianca a Turchia e Azerbaigian nel Caucaso durante il conflitto in Nagorno Karabakh con l’Armenia e ora lo stesso tipo di meccanismo è applicato in Siria; se Erdogan è un partner importante per gli schemi di aggiramento russi delle sanzioni, con il disimpegno in Siria il Cremlino rimane in credito, da applicare appunto in altri contesti. Per capire se e in quale misura il prossimo sarà davvero quello ucraino, ci sarà da attendere i primi mesi del prossimo anno.

30:05

Siria: Assad addio

Modem 09.12.2024, 08:30

  • Keystone
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