Lo chiamano “oro bianco”. È essenziale per l’industria tecnologica verde, ma è fondamentale anche per l’aviazione e la missilistica. Senza dimenticare la sanità, con un diffuso utilizzo nei farmaci antidepressivi. Si tratta del litio, che potrebbe diventare un dossier assai sensibile all’interno della possibile nuova guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Già, perché secondo l’agenzia di stampa britannica Reuters, le autorità di Pechino hanno cominciato a bloccare l’esportazione di apparecchiature per la lavorazione del litio. La Jiangsu Jiuwu Hi-Tech, realtà importante del settore, avrebbe comunicato ai clienti di aver interrotto l’esportazione di un’apparecchiatura di filtrazione nota come sorbente, utile anche allo stoccaggio e al trasporto di batterie al litio. La Cina è il maggior produttore mondiale di sorbenti, utilizzati per estrarre il litio dalle salamoie o da altre soluzioni contenenti il metallo delle batterie. La decisione della Jiangsu Jiuwu Hi-Tech comunica che le ritorsioni della Cina contro i dazi di Donald Trump non sono solo di facciata. Ed è un segnale che i controlli aggiuntivi su macchinari e risorse minerarie, annunciati a inizio febbraio, sono già cominciati. Anche altre società avrebbero congelato l’export di tecnologie utili alla produzione di batterie al litio, cruciali per il funzionamento dei veicoli elettrici ma anche per diverse applicazioni industriali e militari.
Fin qui non è ancora arrivato un divieto di esportazione, ma l’ipotesi di una sua introduzione e l’annuncio di controlli aggiuntivi starebbero già funzionando come deterrente alle vendite all’estero da parte degli operatori di settore. Sempre secondo Reuters, funzionari del ministero del Commercio avrebbero visitato diverse aziende per discutere del tema e in un caso avrebbero messo in guardia dal procedere con un accordo di esportazione dal valore di circa un miliardo di dollari, in quel momento in fase di negoziazione.
Qualora la Cina chiudesse davvero i rubinetti, l’impatto potrebbe essere notevole. Pechino è il terzo produttore di litio al mondo dopo Australia e Cile, ma in realtà ne controlla indirettamente circa la metà delle risorse mondiali. Frutto soprattutto dei tantissimi accordi sottoscritti in America Latina, tra Cile, Argentina e soprattutto Bolivia. Come già accade nella Repubblica Democratica del Congo per il cobalto o in Indonesia per il nichel, la Cina ha messo sul piatto grandi investimenti (si stimano circa 16 miliardi di dollari nel quinquennio 2018-2022) per avere un accesso privilegiato alle risorse di “oro bianco”.
Le preoccupazioni sul litio arrivano dopo che la Cina ha già predisposto una stretta sulle spedizioni di diverse risorse e terre rare. Tra queste il tungsteno, importante per l’industria aerospaziale. Ma anche il germanio e il gallio, utile alla produzione di microchip avanzati. E ancora la grafite e l’antimonio, fondamentale per le batterie. In quest’ultimo caso, la stretta starebbe già avendo ripercussioni sul mercato automobilistico occidentale. Si tratta di uno spauracchio che preoccupa molto gli Usa, e non solo. D’altronde, la Cina produce circa il 60% dei metalli delle terre rare al mondo, con percentuali che si alzano su alcuni metalli fondamentali per l’industria tecnologica verde. Le regole su controlli aggiuntivi ed eventuali divieti non sono ancora chiare e appaiono al momento volutamente flessibili. In tal modo, la Cina si lascia margine di manovra per modulare le norme, a seconda dell’andamento dei negoziati commerciali con Washington.
La sensazione è che, così come sta facendo Trump tra dazi e possibili restrizioni alle catene di approvvigionamento tecnologiche, la Cina stia intanto muovendo le sue pedine. E mandando un messaggio chiaro: pur non volendo una nuova guerra commerciale, qualora fosse costretta a combatterla lo farebbe impugnando armi affilate.

Il Faro: Cose da dazi
Telegiornale 08.02.2025, 20:00