Una base militare di Isfahan nel centro dell’Iran è stata presa di mira, le esplosioni sono state tre ma Teheran minimizza i danni e anzi attraverso fonti militari smentisce che l’origine dell’attacco fosse all’estero. Si sarebbe trattato di droni lanciati forse da dentro il territorio della Repubblica islamica e che sarebbero stati abbattuti almeno in parte dalla contraerea. Washington tace, limitandosi a smentire qualsiasi coinvolgimento in “operazioni offensive” e anche Tel Aviv non conferma alcuna responsabilità, se non con un tweet del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che ha semplicemente commentato con la parola “moscio”. Una rivendicazione indiretta valsagli critiche interne. Sono questi i contorni ancora poco precisi di quanto accaduto nella notte.
RG 12.30 del 19.04.2024 Ospite Riccardo Redaelli
RSI Info 19.04.2024, 14:43
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“Si è trattato di una risposta simbolica, più che altro per far capire che Israele può colpire”, secondo Riccardo Redaelli, docente di geopolitica e di cultura e civiltà del Medio Oriente all’Università Cattolica di Milano. Ma è anche “un compromesso un po’ strano fra le pressioni internazionali per non reagire all’attacco missilistico iraniano e la volontà di comunque farlo. Si è trovata questa formula che forse accontenta tutti”, ritiene l’esperto. La comunità internazionale “può dire che non si è trattato di un vero attacco, che voleva far male, perché Israele avrebbe modo di far male all’Iran. Non sono stati toccati i luoghi simbolo, i centri di arricchimento dell’uranio, le vere basi importanti dei Pasdaran”. La base aerea che sarebbe stata colpita “ospita vecchi caccia di fabbricazione statunitense”.
L’attacco missilistico iraniano ha ricompattato l’alleanza con gli Stati Uniti
L’impressione è che entrambe le parti non vogliano alimentare un’escalation. Redaelli concorda e spiega che “Israele in fondo dall’attacco iraniano, molto forte ma preannunciato, ha guadagnato molto. Era giustamente sul banco degli accusati per il massacro di migliaia di palestinesi a Gaza e in rottura con l’amministrazione Biden. L’attacco missilistico ha ricompattato l’alleanza e dimostrato che Israele è protetto anche dai Paesi arabi sunniti”, che vedono in Teheran un nemico.
Improbabile che Teheran reagisca di nuovo
I segnali non fanno presagire una controrappresaglia iraniana. Perché le ostilità in Medio Oriente si plachino del tutto, però, ci vuole altro. “Se fossero attori razionali, entrambi capitalizzarebbero cercando di far finire al più presto la guerra a Gaza, ma non credo che saranno così saggi da farlo”, afferma Redaelli.
Sui rispettivi fronti interni cosa cambia? “In Iran poco, il regime è altamente impopolare come dimostrato dalle proteste degli ultimi anni”. Per quanto riguarda Israele, anche Netanyahu non gode di popolarità e “proprio per questo ha bisogno che continui la guerra, perché quando sarà finita ci saranno elezioni e probabilmente la sua carriera finirà”. In Israele, però, “l’opinione pubblica può esprimersi, in Iran no”.