La Francia, fra poche ore, avrà un presidente o una presidente. Che si chiami Macron oppure Le Pen, chi entrerà all'Eliseo avrà un compito difficilissimo. Dovrà ridare fiducia ad un paese che ne ha poca, che è diviso in tanti strati, che è arrabbiato.
Non è un'elezione come le altre. Le forze politiche tradizionali, quelle che hanno costruito la Quinta Repubblica e l'hanno governata, sono relegate in panchina. E tengono il muso. Sulla scena ci sono un uomo e una donna che più diversi non potrebbero essere e che in comune hanno solo l'incontenibile ambizione di prendere in mano le leve del potere. E un po' si illudono sapendo di illudersi, perché chi vincerà domani non avrà carta bianca.
In giugno, alle elezioni legislative, potrebbero rinascere dalle proprie ceneri i partiti storici, che il 23 aprile hanno preso una bella botta ma conservano un radicamento territoriale che conta quando la battaglia si fa circoscrizione per circoscrizione. E allora tornerà di moda una parola, coabitazione, che è tutto un programma, con un presidente che non perde l'occasione di bacchettare il primo ministro e un Governo che non smette di ricordare quanto il capo dello Stato sia inadeguato al ruolo.
Chi vince domani, e Macron è il grande favorito, dovrà essere molto bravo. La Francia, che questa volta non potrà più avere un "presidente normale", si appresta a eleggere il capo di Stato più solitario della sua recente storia.
Reto Ceschi