Betlemme e le comunità cristiane della Cisgiordania si apprestano a vivere un Natale di guerra: la messa di mezzanotte è stata mantenuta, ma non ci saranno luminarie o alcun tipo di festeggiamento. La decisione è stata annunciata tre giorni fa dai capi di tutte le chiese cristiane. Impensabile gioire per l’anniversario della nascita di Cristo quando a pochi chilometri si muore e si soffre e quando nella stessa Cisgiordania la tensione è alle stelle con i coloni israeliani, come racconta il reportage dell’inviato del TG Emiliano Bos.
La situazione è ovviamente peggiore a Gaza, dove secondo le informazioni vivono ancora 650 cristiani. Erano circa 15 mila vent’anni fa, prima della presa del potere da parte di Hamas. La nascita di Gesù (che per l’Islam è un profeta, il penultimo prima di Maometto) portava in piazza allora anche i musulmani, intorno a un grande albero di Natale che veniva esposto nella piazza del Milite Ignoto. Quella piazza oggi è teatro di guerra, ma da anni – da ben prima dell’inizio delle ostilità - i governanti della striscia avevano vietato l’esposizione pubblica di alberi di Natale, a eccezione dell’interno di istituzioni cristiane. Il centro culturale cristiano peraltro non esiste più, i luoghi di raduno sono stati distrutti o danneggiati. Persino fare gli auguri ai parenti, per i cristiani di Gaza, è un problema, perché le comunicazioni telefoniche e internet funzionano a singhiozzo.