ANALISI

Oppositori di Putin, chi rimane?

La morte di Alexey Navalny rappresenta tra le altre cose anche la fine dell’opposizione indipendente in Russia - All’estero spicca la figura di Mikhail Khodorkovski

  • 17 febbraio, 13:06
  • 17 febbraio, 13:19
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Sostenitori di Mikhail Khodorkovsky a Mosca nel 2005

  • Reuters
Di: Stefano Grazioli

La morte di Alexey Navalny rappresenta tra le altre cose anche la fine dell’opposizione indipendente in Russia. Al momento non si vede nessuno che possa raccogliere la sua eredità, quella di una voce critica nei confronti del regime, anche dal carcere, e che soprattutto abbia un’immagine così forte, anche se in particolar modo all’estero. Il vuoto lasciato dalla scomparsa del più illustre oppositore del Cremlino non è però improvviso, ma il risultato di una strategia di lungo periodo che negli scorsi due decenni ha condotto progressivamente alla marginalizzazione del dissenso politico, al di fuori della Duma, il parlamento russo, e nella società civile.

La democrazia sovrana

L’onda lunga è partita già durante il primo mandato di Vladimir Putin al Cremlino, quando il presidente e i suoi strateghi, primo su tutti Vladislav Surkov, teorico del concetto della democrazia sovrana, hanno cominciato a costruire un sistema che rispetto a quello fragile e anarchico del primo decennio postsovietico di Boris Yeltsin era basato sul controllo e sulla verticale del potere, in cima alle quale stava l’inquilino del Cremlino, a bilanciare i vari gruppi concorrenti. I meccanismi della democrazia russa sono stati piegati al servizio delle strutture portanti, dall’amministrazione ai servizi, passando per l’apparato militare. Il pluralismo politico si è ristretto, cristallizzandosi sostanzialmente in due canali, quello dell’opposizione sistemica, funzionale al regime, e quello dei movimenti indipendenti o comunque alternativi, alcuni appoggiati anche dall’estero, tra la diaspora russa e i circoli occidentali favorevoli a un cambio di regime a Mosca. La democrazia russa, che mai era arrivata alla maturità sotto Yeltsin, ha iniziato presto la sua involuzione.

L’opposizione sistemica

A garantire la facciata sono sempre stati i partiti che oltre Russia Unita, che fa riferimento a Vladimir Putin e guidato da Dmitri Medvedev, hanno mantenuto sin dagli anni Duemila la loro posizione in parlamento: il Partito comunista e il Lpdr (Partito liberaldemocratico), affiancati da altri, come Russia Giusta o il più giovane Nuova gente, piccole formazioni calate dall’alto e funzionali al regime. Sia alle elezioni alla Duma che a quelle presidenziali l’opposizione sistemica è servita sempre per cementificare l’architettura falsamente democratica del paese. In questo contesto, facilitato dal fatto che lo sviluppo economico russo ha permesso al Cremlino di distribuire sufficienti dividendi tra un elettorato uscito dal disastroso decennio degli anni Novanta, fatto di due guerre interne in Cecenia e con il default economico del 1998, Putin è riuscito a controllare il sistema, impedendo lo sviluppo di un’opposizione alternativa, dentro e fuori la Duma.

Il bavaglio ai leader

Dopo grandi le proteste del 2011/2012 che hanno portato alla ribalta Navalny, in realtà uno dei vari attori che allora si erano messi contro Putin, alcuni dei quali provenienti anche dall’interno della squadra putiniana, i giri di vite contro le voci critiche si sono fatti sempre più frequenti ed evidenti. La prima crisi ucraina del 2014, con l’avvio della guerra del Donbass, ha ristretto ulteriormente gli spazi del dissenso e la repressione del Cremlino si è fatta progressivamente più dura. Colpiti sono stati in primo luogo i leader più conosciuti come Navalny o Boris Nemtsov (ucciso nel 2015), ma anche una lunga serie di rappresentanti della società civile e di organizzazioni non direttamente impegnate sul terreno politico. Le elezioni per la Duma del 2016 e del 2021, insieme con le presidenziali del 2018, non hanno fatto altro che consolidare la “democratura” russa, anticipando il nuovo irrigidimento arrivato dopo l’invasione dell’Ucraina.

Le prospettive

Dal febbraio 2022 le carceri russe stanno accogliendo sempre più personaggi di spicco, provenienti da tutto lo spettro politico che va dall’estrema destra nazionalista (Igor Girkin) a quella liberale (Ilya Yashin), passando per l’ala filoccidentale (Vladimir Kar-Mursa). C’è anche chi ha fatto una fine peggiore, come Evgeny Prighozin, il capo della compagnia Wagner che nell’estate del 2023 ha tentato una sorta di ribellione armata contro il Cremlino e poi è saltato in aria su un aereo. Allora, a fare il tifo per il cuoco del Cremlino, pur di liberarsi di Putin, c’era in prima fila Mikhail Khodorkovski, oligarca della prima ora ai tempi di Yeltsin, poi spedito in Siberia e successivamente graziato. Intorno a lui si è coagulata in questi anni l’opposizione russa all’estero e in vista delle presidenziali del 17 marzo ha invitato i russi ad andare alle urne e votare Alexey Navalny. Resta da vedere nelle prossime settimane se e come la Russia reagirà, ma data la cornice non si devono aspettare certo terremoti.

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