L’analisi

Navalny, un esito scontato che cambierà poco o nulla

Pur essendo stato una spina nel fianco di Putin, era il simbolo dell’opposizione al Cremlino e di una Russia diversa più che altro in Occidente; per i russi nessuna di queste due cose

  • 16 febbraio, 14:52
  • 16 febbraio, 19:02
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Una delle ultime apparizioni di Navalny, via schermo durante un collegamento con la Corte Suprema lo scorso 11 gennaio

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Di: Stefano Grazioli 

La morte prematura di Alexey Anatolevich Navalny in una prigione siberiana non è una sorpresa. Era una delle concrete possibilità che rientravano nel futuro di breve e lungo periodo per il più illustre oppositore di Vladimir Putin. Le altre erano il carcere a vita, oppure la liberazione dopo un cambio di regime al Cremlino. Il palcoscenico del sistema russo di questi tempi non contemplava altre opzioni se non queste tre, l’ultima delle quali ascrivibile più al wishful thinking che alla realtà. Il destino del 47enne attivista era segnato, da quando, dopo l’avvelenamento del 2020 a Tomsk e la sua degenza a Berlino, era tornato volontariamente in Russia all’inizio del 2021 e subito arrestato. Condannato nei mesi successivi in varie occasioni, in processi ritenuti politici in Occidente e anche dall’opposizione extraparlamentare russa, era stato confinato in Siberia, dove si è conclusa la sua storia.

Navalny negli ultimi 15 anni è stato una spina nel fianco di Putin, più a livello mediatico e propagandistico che non a livello concreto. Poco amato dai russi, leader di un’opposizione variegata e inconcludente, incapace di trovare un programma comune al di là del collante antiputiniano, ma forse, proprio per questo, diventato l’icona del dissenso internazionale e trasversale contro il Cremlino, ritenuto più pericoloso. L’invasione russa dell’Ucraina, cominciata nel 2022 mentre era già in carcere, è stato il segnale però che dalle sbarre non si sarebbe liberato in maniera semplice. La sua morte arriva a un mese dalle elezioni presidenziali del 17 marzo prossimo, in cui Putin vincerà a mani basse, come ha fatto l’ultima volta nel 2018, proprio quando Navalny tentò di sfidarlo, senza però riuscirci, escluso per ragioni formali.

Da allora è passato poco più di un lustro, ma il mondo nel frattempo si è ribaltato, anche per volere di Putin, e la vicenda di Alexei Anatolevich è da questo punto di vista esemplare, motivo per cui appunto la sua conclusione non rappresenta certo un evento imprevedibile. Sopravvissuto al novichok, non ce l’ha fatta di fronte al potere che lo ha alla fine schiacciato. Nel nuovo contesto internazionale, con il conflitto in corso tra Mosca e Kiev che ha aperto una frattura tra Russia e Occidente e sta ridefinendo i nuovi equilibri geopolitici mondiali, e con la minaccia atomica più attuale che mai, la morte di un oppositore in Russia non cambierà certo in maniera radicale i rapporti tra il Cremlino e la Casa Bianca. Il clamore è però enorme, la propaganda in moto ovunque.

Alexey Navalny, quindici anni fa, quando era uno dei leader del movimento che aveva riempito le piazze russe protestando nell’inverno 2011/2012 contro la staffetta al Cremlino tra Dmitri Medvevdev e Putin, sarebbe forse stato in grado di dare una svolta diversa, se insieme agli alleati di allora avesse trovato una piattaforma comune e credibile per convincere l’elettorato progressista. Da una parte però l’apparato repressivo e dall’altra la mancanza di coordinazione, unita soprattutto all’incapacità di coinvolgere in grande quantità gli elettori russi, oltre che gli scontenti nella verticale del potere, lo hanno relegato a figura marginale. La sua notorietà e popolarità, sempre ai minimi termini anche secondo i sondaggi indipendenti, è sempre stata molto più elevata all’estero che in Russia, dove la sua carriera, politica e non, è sempre stata valutata con indifferenza se non con sospetto.

Vicino inizialmente al Partito liberale Yabloko, poi espulso per le sue posizioni troppo spinte verso la destra estremista, con le sue battaglie anticorruzione contro il partito del potere di Putin ha messo il dito nella piaga, ma in un paese come la Russia, che è sempre nelle posizioni di rincalzo nella classifica di Transparency International, si è ritrovato Don Chisciotte contro i mulini a vento. Per l‘Occidente è stato il simbolo sia dell’opposizione a Putin che della speranza di una Russia diversa, ma per i russi, per la stragrande maggioranza di loro, nessuna di queste due cose. Ecco perché le due narrazioni sono contrapposte: tutto già visto, partendo da Mikhail Gorbaciov, idolo tra Europa e Stati Uniti per aver architettato la perestrojka, odiato in patria come responsabile del crollo del Paese. Gorby è stato seppellito a Mosca, nel cimitero di Novodevicy, dove Navalny troverà quiete non è dato al momento a sapere.       

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È morto Navalny

Telegiornale 16.02.2024, 12:30

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