Le potenze nucleare mondiali hanno ripreso a investire nella modernizzazione dei loro arsenali atomici lo scorso anno. È quanto emerge dal rapporto del SIPRI, il centro di ricerca di Stoccolma che segue l'evoluzione degli armamenti a livello planetario. Il totale delle testate è diminuito di circa 200 unità a 12'512 per effetto del progressivo smantellamento di ordigni già fuori servizio, in particolare in Russia e Stati Uniti.
In questo si conferma un trend già in atto da decenni, tanto che si è scesi a meno di un quinto della disponibilità al picco della Guerra fredda. Nel contempo, però, si è invertita la tendenza per le bombe potenzialmente utilizzabili a disposizione delle nove potenze (oltre alle due già citate, Regno Unito, Cina, Francia, Israele, Corea del Nord, India e Pakistan). Il SIPRI stima che siano ora 9'576, un'ottantina in più di un anno fa.
L'incremento, secondo il direttore del SIPRI Dan Smith, non può essere spiegato unicamente con la guerra in Ucraina, perché è un processo che richiede del tempo e perché alcuni dei Paesi citati non sono direttamente toccati dal conflitto. Va attribuito essenzialmente alla Cina, passata da 350 a 410 testate. Quelle russe sono passate da 4'477 a 4'489, quelle statunitensi sono 3'708.