In Qatar esiste un problema di rispetto dei diritti umani, in particolare di diritti dei lavoratori. Stadi alberghi strade metropolitane sono state costruite, praticamente dal nulla, da operai stranieri in condizioni estreme. Il Governo del Paese e la FIFA hanno ammesso solo 3 morti sui cantieri degli stadi costruiti in occasione dei campionati mondiali di calcio, ma inchieste indipendenti sostengono che le vittime in realtà sono state migliaia in questi anni.
"Diritti dei lavoratori calpestati"
"Tutta la società qatarina è segnata da grosse ineguaglianze", spiega Francesca Caferri, collaboratrice RSI ed esperta di paesi del Golfo. "Migliaia e migliaia di nepalesi, bengalesi, pakistani che in Qatar non godono dei diritti che potrebbero in un paese occidentale. Migliaia di persone a cui viene confiscato il passaporto quando arrivano nel paese, e che se vogliono ritornare a casa devono pagare migliaia di dollari agli intermediari che li hanno portati. C'è da dire che il Qatar ha fatto passi avanti enormi in questi anni, sotto la pressione delle ONG di tutto il mondo e della FIFA. Oggi le leggi sul lavoro sono le più avanzate di tutta quanta la regione, ma ciò che è scritto sulla carta non è ciò che poi accade. C'è ancora un gap fortissimo".
Nei paesi del Golfo c'è un sistema detto della "kafala", una specie padrinato, di tutela dei lavoratori. Un sistema che esiste ancora, secondo il quale "il datore di lavoro non può più sequestrare, secondo la legge, il passaporto del suo dipendente", precisa Francesca Caferri. "Ma poi quello che le ambasciate dei paesi interessati sentono è ben diverso da quello che è scritto. Il kafala è un sistema che permette al lavoratore di arrivare in Qatar già con un posto di lavoro assegnato. In Qatar un lavoratore di basso livello non va a cercare un lavoro, viene portato da un'organizzazione che lo destina a lavorare a un determinato progetto e che purtroppo, nei fatti, diventa padrona della sua vita".
"Ci sono delle strutture prefabbricate in cui vivono dozzine e dozzine di persone ammassate l'una sull'altra", prosegue Caferri. "Se si rompe l'aria condizionata non si respira perché parliamo di un paese caldissimo, e i lavoratori sono costretti spesso a lavorare anche durante il giorno. Anche con queste temperature impossibili. Il gap tra le condizioni dei lavoratori, e il Qatar degli alberghi, dei boulevard, e dei musei è enorme, ed è una cosa che comunque non si è riusciti a colmare in questi dodici anni".
"Una società piramidale"
"Le persone in Qatar che dispongono del passaporto sono poche: 2-300'000 su una popolazione di 1,2 milioni di persone e sono coloro che stanno benissimo. È una società fatta a piramide, in cui il vertice della piramide è costituito dai qatarini. Il secondo strato è costituito dagli expat di lusso, i giornalisti di al Jazeera, i medici. Il personale che lavora in queste meravigliose università che il Qatar ha costruito o nei musei. E poi c'è il livello più basso della piramide, che vive nelle condizioni pessime di cui abbiamo parlato prima. È una società assolutamente divisa in strati impermeabili l'uno dall'altro".
Alla base della piramide: le donne che arrivano dall'estero. Sono le persone con meno diritti. "Per lo più donne che lavorano nelle case e che vengono trattate in condizioni che in Europa potremmo definire anche di schiavitù", conclude Caferri. "Questo è un problema simile a quello che c'è in Arabia Saudita, ma quello che c'è a Dubai ecco le donne che arrivano da paesi come le tre alla Somalia o le Filippine vivono in queste case e diventano di fatto proprietà dei datori di lavoro. Questo è un substrato culturale che è tipico di tutta quell'area del Golfo".
The Guardian, numeri senza risposta
Quanti lavoratori immigrati sono morti in Qatar nei cantieri nei cantieri per i Mondiali di calcio del 2022? Questa domanda, che è al centro delle critiche all'emirato, sembra destinata a non avere mai una risposta precisa. Una cifra che ha fatto scorrere molto inchiostro è quella dei 6'500 stranieri morti in Qatar dall'assegnazione dei Mondiali di calcio nel 2010, avanzata nel febbraio 2021 dal The Guardian. Il quotidiano britannico, che ha lavorato sui dati forniti dalle autorità di cinque Paesi del Sud-Est asiatico, ha spiegato che "i certificati di morte" su cui si è basato "non sono classificati per professione o luogo di lavoro". Ma molti media occidentali hanno preso una scorciatoia e hanno ripetuto la cifra, attribuendo i decessi esclusivamente alla costruzione degli stadi della Coppa del Mondo, agli incidenti, agli attacchi di cuore dovuti al caldo o alla stanchezza, ecc.
Tant'è che l'Organizzazione internazionale del lavoro, presente a Doha dal 2018, nel novembre 2021 si è rammaricata del fatto che questa cifra sia stata "ampiamente riprodotta (...) senza sempre includere il contesto (...) e spesso attribuendo questi decessi alla costruzione dei siti della Coppa del Mondo".
La testimonianza di Andy Egli, ex nazionale svizzero
Mondiali in Qatar: l'intervista a Andy Egli
SEIDISERA 16.11.2022, 20:14
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