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Quel che resta di Trump

Quante carte ha realmente da giocare in vista delle presidenziali del 2024? Le ambizioni di rivincita dell'ex capo della Casa Bianca, nell'analisi di un esperto

  • 8 febbraio 2023, 06:04
  • 20 novembre, 12:00
Tornato in campo: Donald Trump ha aperto una decina di giorni fa la sua campagna per la nomination dei repubblicani

Tornato in campo: Donald Trump ha aperto una decina di giorni fa la sua campagna per la nomination dei repubblicani

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Dopo l'esito delle mid-term, e la faticosa elezione di Kevin McCarthy alla testa della Camera dei rappresentanti, sono ormai in molti a chiedersi quali siano le effettive chance di Donald Trump per le presidenziali del 2024. L'ex capo della Casa Bianca si dice agguerrito più che mai e ostenta la consueta determinazione. L'impressione, però, è che la sua campagna sia partita piuttosto sottotono. Non si sono poi certo sopite le tante polemiche che lo concernono per i fatti, due anni fa, di Capitol Hill. Ed è infine nello stesso schieramento repubblicano, che sono intanto emersi competitori piuttosto insidiosi per le sue mire elettorali.

Quante e quali carte ha ancora in mano Trump per la sue ambizioni di rivincita? Giriamo la domanda a Morris Mottale, professore emerito di scienze politiche e relazioni internazionali presso la Franklin University di Lugano: uno studioso di orientamento repubblicano, noto però per non far sconti a nessuno e per la logica piuttosto asciutta e schietta delle sue argomentazioni. Secondo quest'esperto Trump ha "una metà dei repubblicani, direi, che sono dalla sua parte". Quanto alla sua campagna, "non è che sia poi tanto in sordina": semplicemente, la visibilità è ora divisa con "altri politici che stanno cercando di diventare candidati presidenziali". Senza poi contare che, al di là degli schieramenti, si registra attualmente un più generale "dibattito su quali saranno le sfide per gli Stati Uniti".

Morris Mottale è professore emerito di scienze politiche e relazioni internazionali alla Franklin University Switzerland

Morris Mottale è professore emerito di scienze politiche e relazioni internazionali alla Franklin University Switzerland

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Tutto ciò in una realtà che, a livello politico, risulta localmente ben più articolata di quanto agli occhi degli europei possa apparire. Vanno infatti tenute in debito conto differenze, e non da poco, in regioni o stati USA nei quali gli orientamenti politici solo in apparenza sono omogenei. Ad esempio, se si pensa allo Stato di New York si è portati a pensare soprattutto alla metropoli che è un tradizionale bastione dei democratici. Ma "se si va a Buffalo", ossia nella seconda città più popolosa dello stesso Stato, "la situazione è molto diversa, perché lì la gente è più conservatrice". E un discorso analogo potrebbe essere fatto per la California, spaziando da Los Angeles fino a centri importanti dell'entroterra come Bakersfield, la città d'origine di Kevin McCarthy

Le divisioni fra i repubblicani

Proprio la difficile elezione di quest'ultimo - fedelissimo di Trump - alla terza carica dello Stato ha messo in evidenza, con ben una quindicina di scrutini, le forti divisioni che si consumano nel campo dei repubblicani. Ma quali sono al momento le correnti più influenti all'interno di questo schieramento? Mottale cita anzitutto una corrente "conservatrice classica" riconducibile al pensiero di William F. Buckley Jr (1925 - 2008), il fondatore della rivista National Rewiew che ancora oggi è un punto di riferimento per i conservatori "che vogliono meno Stato, più federalismo e più libertà individuale". Ci sono poi "le nuove leve, le nuove élite americane che si identificano con il populismo". E il peso specifico dei trumpiani si constata segnatamente "negli stati del Sud, come pure in Arizona e nel Nuovo Messico". Soprattutto qui Trump "è riuscito a mobilitare sentimenti avversi a trend locali e nazionali", dal multiculturalismo ai matrimoni omosessuali, come pure le accuse all'establishment democratico di aver "manipolato il sistema giudiziario, in modo che questi nuovi trend culturali fossero approvati e legittimati dal sistema politico".

Ron DeSantis, attuale governatore della Florida, è al momento considerato come il più accreditato competitore di Trump nella corsa alla "nomination" repubblicana

Ron DeSantis, attuale governatore della Florida, è al momento considerato come il più accreditato competitore di Trump nella corsa alla "nomination" repubblicana

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A dominare il dibattito negli Stati Uniti sono però attualmente tre temi: la lotta all'inflazione, il controllo dell'immigrazione e la sicurezza. E per cavalcarli, in campo repubblicano, si sono già profilate alcune personalità che per Trump potrebbero risultare assai concorrenziali. C'è l'ex ambasciatrice all'ONU Nikki Haley, che è ormai prossima ad annunciare la sua candidatura alle primarie. Ma c'è anche Ron DeSantis, l'attuale governatore della Florida, che da più osservatori è molto accreditato: "I conservatori lo preferiscono", osserva il professor Mottale, perché rispetto a Trump "non è così scioccante". Il problema di Trump, in sostanza, è il fatto di dire apertamente "cose che moltissimi americani condividono, ma con uno stile che non è condiviso". A pesare è insomma la sua retorica non di rado spiazzante e incendiaria. E un candidato come DeSantis, quindi, appare sotto questo profilo ben più rassicurante.

Fra Capitol Hill e carte riservate

Ma quanto potrebbero incidere, sulle mire di Trump, le controversie legate al suo ruolo nei fatti che a Washington segnarono l'inizio del 2021? Quanto gravano ancora le accuse di aver acceso gli animi e aver lasciato degenerare la situazione? L'assalto a Capitol Hill ha sconcertato l'opinione pubblica e "ha indignato anche me", ricorda Mottale, sottolineando il fatto di conoscere persone rimaste veramente disorientate, "perché non è l'America in cui siamo cresciuti". Ma il punto, sostiene, è "che la gente, dopo un anno o due, si dimentica di queste cose". Fu un evento grave "ma anche un parterre del ruolo dei mass media" e di accuse di frode elettorale che avevano lasciato il segno: "Io conosco persone istruite, benestanti, che sono convinte che nei loro Stati ci fu frode elettorale", afferma in proposito Mottale, citando anche interviste fatte da lui stesso per il suo lavoro.

Gli scontri fra le forze dell'ordine e i sostenitori di Trump, durante l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021

Gli scontri fra le forze dell'ordine e i sostenitori di Trump, durante l'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021

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I fatti di Capitol Hill, in ottica elettorale, saranno quindi certamente sfruttati per attaccare Trump. Ma le elezioni, secondo quest'esperto, finiranno per focalizzarsi sui tre maggiori dossier già citati. Che dire però della vicenda, ben più recente, dei documenti riservati trovati nella residenza di Trump in Florida? "Diciamo che non incide per niente, perché tutti i presidenti hanno avuto quel problema per milioni di pubblicazioni che finiscono negli uffici federali", osserva Mottale. Queste rivelazioni quindi, per quanto riportate dai media, non dovrebbero danneggiare più di quel tanto la posizione di Trump. Tanto più che pure Joe Biden, come la cronaca si è incaricata di segnalare, è ora confrontato ad una vicenda analoga.

Trump e la scena internazionale

Trump invece, secondo Mottale, potrebbe invece rivendicare a buon diritto meriti legati a dinamiche che la guerra in Ucraina ha ora reso ben evidenti. Va infatti ricordato che nel 2018 criticò fortemente la Germania per le sue massicce importazioni di gas dalla Russia: "Con tutti i generali statunitensi, aveva avvertito che era un pericolo per la Germania e per l'Europa. E adesso se ne sono accorti", osserva lo studioso. Ovviamente l'alternativa del gas americano sarebbe costata di più, "ma da un punto di vista strategico" non avrebbe esposto a rischi.

La firma degli accordi di Abramo, promossi dall'amministrazione Trump, nel settembre del 2020

La firma degli accordi di Abramo, promossi dall'amministrazione Trump, nel settembre del 2020

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Altri meriti ascrivibili all'ex presidente, prosegue Mottale, sono quindi da ricondurre al Medio Oriente e più precisamente a quegli "Accordi di Abramo" che nel 2020 sancirono la normalizzazione dei rapporti fra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein: per lo Stato ebraico sono state le prime riappacificazioni con Paesi arabi dal remoto 1994, quando venne siglato il trattato di pace fra Israele e Giordania. Un evento di grande rilevanza, insomma, per il quale Trump "avrebbe forse veramente meritato un premio Nobel per la pace, che però non ha mai ricevuto", sostiene l'esperto.

Verso le primarie

In conclusione, quante possibilità ha Trump di imporsi nella corsa per la nomination dei repubblicani? "In molti pensano che non ce la farà, che vincerà DeSantis, in parte perché la gente è stufa di tutte queste controversie; vorrebbe qualcosa di più peaceful", risponde Mottale. Un altro svantaggio, sollevato da più osservatori, risiede poi anche nell'età ormai avanzata del tycoon. "Biden ha però dimostrato che ciò non è vero", osserva Mottale, aggiungendo che il presidente in carica "considerata la sua età, ha avuto grande successo ed è riuscito a fare molto" con buona pace di chi ne dubitava.

01:40

Trump, primi comizi in vista del 2024

Telegiornale 29.01.2023, 21:00

Intanto un primo sondaggio pubblicato proprio ieri, martedì, attribuisce in campo repubblicano a Trump il 37% delle preferenze e un vantaggio di 4 punti percentuali su DeSantis. Dai ranghi del Grand Old Party, stando alle ultime indiscrezioni, potrebbero quindi emergere fino a 8 candidature: fra queste, si prevede, anche quelle dell'ex vicepresidente Mike Pence e dell'ex segretario di Stato Mike Pompeo. Si attendono, ancora, le rispettive conferme. Ma già si constata una palpabile aria di competizione.

Alex Ricordi

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