Ad accendere la prima fiammata è stato il gas esalato dalle troppe vacche olandesi. Era il 1° ottobre 2019 quando agricoltori e allevatori dei Paesi Bassi mostrarono che un trattore non serve solo ad arare i campi. Dall’aia delle fattorie migliaia di mezzi agricoli marciarono al passo loro sull’Aia, intesa come la capitale in pectore dei Paesi Bassi, paralizzando il traffico. A scatenare la protesta il progetto di legge che mirava a dimezzare il numero di capi bovini per ridurre le emissioni di azoto.
La scena si è ripetuta nell’estate del 2022 quando i trattori imboccarono nuovamente strade e autostrade contro la concretizzazione del piano, dell’allora governo Rutte, teso a ridurre ossidi di azoto e ammoniaca per rientrare nei limiti fissati a livello europeo. La strategia sembra aver pagato visto che la Commissione europea ha approvato un indennizzo da 1,47 miliardi di euro. I contadini potranno così digerire la chiusura di 3’000 allevamenti e il Paese dimezzare le emissioni di azoto entro il 2030.
Trattori alla Porta di Brandeburgo a Berlino
Il carburante della protesta
Le politiche dell’Unione Europea sono probabilmente l’unico collante che lega la rabbia dei contadini esplosa in queste settimane, più o meno accesa, in diversi Paesi del continente. Se gli olandesi hanno mostrato il diverso uso che si può fare di un trattore, sono stati i tedeschi a perfezionarne la tecnica. Nella meccanizzata Germania la mobilitazione in corso trasuda soprattutto gasolio e muove direttamente dalla manovra di risparmio del governo di Olaf Scholz, che a dicembre per sistemare i conti pubblici ha annunciato un taglio dei sussidi ai contadini.
A dettare la dieta la Corte dei Conti tedesca che, a settembre, aveva portato alla luce un deficit nascosto di 85 miliardi di euro, cinque volte la cifra preventivata. La Commissione europea ha poi messo il sigillo, affermando che ai Paesi membri non è consentito escludere “alcuna particolare spesa” dal debito pubblico utilizzando “fondi speciali”, come nel caso tedesco le centinaia di miliardi per raggiungere gli obiettivi climatici o quelli per potenziare le forze armate.
Da inizio anno è stato un crescendo. A partire dal 4 gennaio quando un centinaio di agricoltori ha bloccato su un traghetto a Schlüttsiel, nel Land Schleswig-Holstein, il ministro dell’Economia Robert Habeck di rientro dalle proprie vacanze. I manifestanti volevano che parlasse con loro dei previsti tagli, il politico invece desiderava solo tornarsene a casa, ma ha dovuto invertire la rotta. Un portavoce del governo tedesco ha bollato su X l’episodio come “vergognoso”: “Viola le regole della convivenza democratica”.
Nonostante il parziale ridimensionamento delle misure da parte del governo, soprattutto in merito agli aiuti per il carburante agricolo, gli agricoltori non hanno mollato la presa e l’8 gennaio hanno paralizzato, con blocchi e cortei, metà del Paese. Nella cronaca di giornata spiccano i 5’500 trattori che si sono diretti a Monaco di Baviera per una manifestazione, ma anche i 560 mezzi agricoli che hanno sfilato vicino alla Porta di Brandeburgo a Berlino. Scene che si sono ripetute nelle settimane successive, in diversi Länder, e sono continuate lunedì, 29 gennaio, con il blocco ai porti, tra cui quello di Amburgo.
“La nostra fine sarà la vostra fame”
In Francia, che ha raccolto il testimone dalla Germania e sta rilanciando, la collera cova nelle campagne per una somma di ragioni che vanno dall’aumento dei costi di produzione, agli obblighi ambientali crescenti dettati anche dal Patto verde europeo. Il pacchetto di rivendicazioni, le “misure concrete” che gli agricoltori chiedono al governo di Gabriel Attal sono multiple.
Nei “cahiers de doléance” sul tavolo del nuovo premier si parla di semplificazioni amministrative, nessun nuovo divieto per i pesticidi, blocco dell’aumento del prezzo del gasolio per i trattori, indennizzo più rapido in caso di calamità e la piena applicazione della legge che dovrebbe obbligare gli industriali e la grande distribuzione a retribuire meglio i frutti della terra. Partita nel sud, in Occitania, la protesta si è via via ramificata, sino all’attuale “assedio” attorno alla capitale Parigi.
La polizia francese sorveglia, lunedì 29 gennaio, la marcia degli agricoltori sull'A15 nei pressi di Argenteuil (Val-d'Oise)
Anche il Belgio ha seguito l’onda e domenica 28 gennaio ha fatto i conti con un blocco autostradale. Decine di trattori hanno fermato la circolazione sulla E42 a nord di Namur nel cuore del Paese. È diventato “impossibile ricavare un reddito decente” dalle attività agricole, ha detto all’AFP Pierre D’Hulst, portavoce della Federazione dei giovani agricoltori (FJA) promotrice della protesta. “La nostra fine sarà la vostra fame”, diventa il fortunato slogan della protesta francofona. Anche in Belgio il bersaglio è la Politica agricola comune (PAC), di cui si chiede una riforma che tenga contro della realtà sul terreno.
Rispetto a Francia e Germania, in Italia il tema ha faticato sinora a conquistare le prime pagine dei giornali. Eppure le manifestazioni non sono mancate, con i trattori che hanno sfilato lungo la riviera a Pescara durante una mobilitazione durata tre giorni. Ma anche a Enna, in Sicilia, a Isernia e Termoli, in Molise, ad Alessandria e Asti, in Piemonte, il settore primario ha alzato la voce. A Orte, nel Viterbese, i mezzi agricoli hanno bloccato sabato per due ore un casello autostradale. Le ragioni della mobilitazione sono quelle comuni a tutta Europa: prezzi troppo bassi di vendita, costi altissimi, burocrazia, politiche UE che non rispondono alle esigenze diverse dei territori.
L’Ucraina, anche se azzoppata, fa paura
Un altro timore che serpeggia nel mondo agricolo europeo è legato al processo di adesione dell’Ucraina all’UE e alla ventilata riforma della PAC. In discussione vi sarebbe infatti la ripartizione dei sussidi che verrebbe rimessa in discussione se Kiev con la sua potenza cerealicola globale entrasse a pieno titolo nel mercato comune. A tal proposito il commissario europeo per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski ha già ipotizzato di porre un tetto agli aiuti.
Le misure già prese dall’UE per sostenere Kiev nella sua resistenza contro la Russia sono l’altro fattore che sta destabilizzando soprattutto gli agricoltori dell’est Europa. Dal giugno 2022 l’UE ha infatti sospeso dazi, contingenti e misure di difesa sull’importazione di prodotti agricoli ucraini.
Di fronte alle pressioni crescenti la Commissione europea si è detta pronta a permettere agli Stati membri centro-orientali di limitare nuovamente le importazioni dall’Ucraina. Negli altri Paesi UE, invece, la liberalizzazione degli scambi con Kiev verrebbe estesa di un altro anno, sino al giugno 2025.
Fino alla metà di settembre 2023 l’Unione europea aveva consentito a cinque paesi - Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia - di vietare le vendite sul mercato interno di grano, mais, semi di colza e girasole di produzione ucraina. Pur autorizzandone il transito per l’esportazione verso altre destinazioni. Secondo il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto l’afflusso di grano ucraino a basso costo ha “rovinato” i mercati dell’Europa centrale. “Vorremmo ritornare all’accordo originale che prevedeva solo il transito”, ha detto Szijjarto.
In Romania agricoltori e camionisti, a gennaio, hanno intasato le strade con i loro mezzi. Chiedono tasse più basse e sussidi più equi. La rabbia concerne anche l’aumento del costo dell’assicurazione per i macchinari pesanti. Su questo malumore s’innesta, come detto, la protesta contro il grano ucraino tanto da bloccare i valichi di frontiera con il paese in guerra, a Suceava e Satu Mare. “L’agricoltura rumena sta morendo”, dice un contadino alla tv.
“Non vendiamo più il nostro grano. Siamo costretti a tenerlo in magazzino e lo smerciamo in primavera-estate quando il prezzo è molto basso”. Per disinnescare la polveriera il governo ha fatto concessioni ai trasportatori, puntando anche il dito contro l’UE. Il ministro Florin Barbu ha minacciato di chiedere le dimissioni del commissario europeo all’Agricoltura se non risolverà le deroghe ad alcune direttive europee che colpiscono anche gli agricoltori rumeni.
Un agricoltore depone una balla di paglia davanti a un edificio pubblico a Lamia, in Grecia
Non è, infine, immune dal contagio la Grecia. A gennaio gli agricoltori delle prefetture settentrionali di Kozani, Kastoria e Grevena hanno puntato i loro trattori verso le città per evidenziare i problemi che, secondo loro, “minacciano la sostenibilità della produzione agricola e zootecnica”. Anche qui l’attuazione della Politica agricola comune (PAC) preoccupa il settore. La prossima settimana i contadini ellenici progettano di bloccare l’autostrada Egnatia allo svincolo per Siatista.
Dimitris Moschos, titolare di un’azienda agricola biologica a Polykarpi (Kastoria), premiata a livello europeo, ha affermato che le nuove misure della PAC hanno ridotto il reddito da prodotti animali e vegetali “in media del 52%”. In fermento anche gli agricoltori di Larissa e Karditsa, nella Grecia centrale, che accusano l’inazione del governo nel rimborso dei danni provocati a settembre dalla tempesta Daniel.
Francia: protesta contadina
Telegiornale 29.01.2024, 20:00
Appello dei contadini svizzeri
Telegiornale 29.01.2024, 20:00