Manganellate, urla e poi l’espulsione verso la Bosnia. È quanto si vede nel video pubblicato la scorsa settimana da Lightouse Reports e altri media europei. Nelle immagini tre uomini armati picchiano un gruppo di migranti, prima di costringerli a lasciare il territorio croato. Gli uomini in questione non portano un’uniforme e agiscono a volto coperto, ma gli indumenti che indossano, così come il manganello e la pistola che hanno con sé sono quelli in dotazione alla polizia croata.
Di fronte a queste immagini l’esecutivo di Zagabria ha ammesso ieri il coinvolgimento dei suoi agenti: “Si tratta di tre poliziotti membri delle forze speciali” ha spiegato il capo della polizia Nikola Milina. Un ammissione senza precedenti, ma comunque smorzata nei toni: “I tre uomini hanno agito durante il loro orario di lavoro, ma lo hanno fatto in modo autonomo” ha aggiunto Milina spiegando che si è trattato di un “caso isolato”.
Ieri, venerdì, i tre poliziotti sono stati sospesi dal proprio incarico e affronteranno ora una procedura disciplinare. Le domande senza risposta restano però tante: perché gli agenti non portavano le uniformi? E come hanno potuto assentarsi dal lavoro per andare a picchiare dei migranti al confine con la Bosnia?
“Non abbiamo filmato tre mele marce” rispondono da parte loro i giornalisti di Lighthouse Reports, secondo i quali la violenza al confine croato-bosniaco è sistematica. Ed è in effetti dal 2016 che diverse ONG accusano la polizia croata di respingimenti illegali e violenze. Amnesty international ha addirittura parlato di tortura.
Anche l’Unione Europea è però sotto accusa: Bruxelles ha infatti assegnato dei fondi alla Croazia per monitorare il lavoro dei poliziotti al confine con la Bosnia, ma quel meccanismo di controllo che doveva essere indipendente, è in realtà gestito dal ministero degli interni di Zagabria, con risultati a quanto pare insoddisfacenti.