Migliaia di giornalisti stranieri sono a Taiwan per coprire le elezioni presidenziali e il rinnovo del parlamento che si tengono oggi, sabato. Tanto è grande l’importanza dello scrutinio che determinerà il futuro di 23 milioni di cittadini e delle relazioni con la Cina, con Washington, le due potenze, che si contendono l’influenza sull’isola, economicamente strategica. È immensa quindi la pressione sui tre candidati che si sono dati battaglia per mesi.
Dato per vincitore è Lai Ching-te del partito progressista democratico (DPP), conosciuto anche come William Lai. Figlio di un minatore, Lai, 64 anni, un ex dottore, difende con forza la sovranità di Taiwan e intende continuare la politica estera della presidente uscente di cui è vice, Tsai Ing-wen, eletta nel 2016. Una spina nel fianco per Pechino, che lo considera un separatista e lo ha accusato di voler provocare la guerra.
Il suo rivale principale, Hou Yu-ih, un ex poliziotto, è il contendente preferito della Cina e leader del partito nazionalista Kuomintang (KMT) contrario all’indipendenza e favorevole al dialogo con Pechino. Hou si è definito un moderato ed ha sottolineato più volte che le relazioni nello stretto di Taiwan sono cambiate, così come il partito. Si è infatti distanziato dalle recenti dichiarazioni dell’ultimo presidente del KMT, Ma Ying-jeou, il quale ha affermato che Taiwan “non potrà mai vincere la guerra contro la Cina” e dovrebbe quindi ridurre le spese per la difesa.
Il terzo candidato è l’ex sindaco di Taipei, Ko Wen-je, leader del piccolo Partito popolare di Taiwan (TPP), fondato solo nel 2019. Definito anti-conformista, Ko ha saputo galvanizzare i giovani e sfidare la dominanza dei due partiti storici. La sua visione sulle relazioni nello stretto è simile a quella del KMT, ma i due partiti non sono riusciti a trovare un accordo per una candidatura presidenziale congiunta, che avrebbe messo seriamente in difficoltà Lai.
Tutti e tre i candidati affermano di essere a favore dello status quo. La differenza sta nel modo in cui pensano di mantenerlo. Per il KMT significa costruire relazioni migliori con la Repubblica Popolare Cinese, perché il dialogo permetterebbe all’isola di esistere come democrazia libera. Per il DPP la soluzione sta invece nel tessere quante più relazioni possibili oltre la Cina, in modo che Taiwan non debba fare affidamento solo sul vicino ingombrante per mantenere la propria autonomia politica ed economica. Alla fine a fare la differenza è ciò che vuole Pechino e sotto Xi Jinping non è lo stato attuale, ma l’unificazione con Taiwan.