Laggiù non si vede nulla, ma c’è la frontiera col Messico. In mezzo solo natura: distese sconfinate di boscaglia, praterie, canyon. Il ranch della famiglia Chilton in Arizona è grande come il Luganese e a sud, per oltre otto chilometri, i confini della proprietà sono quelli tra Stati Uniti e Messico. Vi corre il muro costruito prima da Obama e poi da Trump, ma verso est c’è un varco perché nel 2021 l’Amministrazione Biden ha fermato la costruzione della grande barriera metallica. È lì che sono ricominciati i problemi, spiega Jim Chilton.
Le praterie del ranch Chilton ad Arivaca, Arizona
La sua famiglia si occupa di allevamento da cinque generazioni, lui e la moglie Sue sono arrivati ad Arivaca, a pochi chilometri da Nogales, nel 1987. Vi pascolano un migliaio di capi, gli anziani proprietari possono contare sull’aiuto di cinque cowboys. Ma ora, racconta, fare il rancher è cambiato: “avere un ranch vicino al confine è sempre più pericoloso, perché bisogna fare i conti con dei brutti ceffi”. La loro abitazione è stata svaligiata tre volte; i brutti ceffi sono quelli filmati dalle cinque telecamere di sicurezza disposte in tutta la proprietà. Dal 2021, oltre 3’500 persone sono state immortalate attraversare il ranch diretti verso a nord. Perlopiù uomini, quasi tutti con abbigliamento paramilitare. “Devono essere assoldati dal Cartello di Sinaloa, trafficanti di Fentanyl e droga, per questo – spiega l’84enne – porto un’arma ovunque vada”.
Jim Chilton
Dall’inizio della Presidenza Biden oltre 8,2 milioni di persone sono arrivate al confine sud degli Stati Uniti. Nel solo dicembre del 2023 il record, con oltre 300’000 arrivi in un solo mese. Da giugno, dopo l’ordine esecutivo presidenziale di fissare un tetto a 2’500 ingressi giornalieri, i numeri sono in costante calo. “Prima del Presidente Biden, aggiunge Chilton, stando alle mie telecamere in media passavano 230 persone all’anno, poi sono state 1’200”.
“Beef”, manzo, l’emblematica targa del pick up dell’allevatore
Eppure, qua e là tra i pascoli, nei ventiquattro pozzi della sua tenuta, Jim ha messo delle fontanelle d’acqua potabile. “Ho trovato 30, 35 migranti morti nella mia tenuta a causa della sete o la disidratazione. Per questo ho messo delle fontanelle così che la gente possa riempire le proprie borracce, bere un sorso e continuare. Sono contro l’immigrazione illegale, chiosa, non contro gli esseri umani”.
I coniugi Jim e Sue Chilton, 84 e 81 anni
Il problema secondo Jim e Sue Chilton è il buco che c’è lungo la frontiera. Il muro voluto da Trump e non è stato completato dall’attuale amministrazione è la soluzione in grado di garantire loro la sicurezza. I due coniugi l’hanno ribadito pure alla Convention repubblicana di Milwaukee lo scorso luglio e per questo a novembre voteranno l’ex Presidente. In questa parte dell’Arizona – stato che alle presidenziali del 2020 passò da repubblicano a democratico – l’immigrazione è il tema elettorale numero uno.
Il muro al confine che divide la parte americana di Nogales da quella messicana
Dal 1918 Nogales è tagliata in due da una barriera che segna il confine tra Stati Uniti e Messico. In principio fu una staccionata alta due metri. Nel 1995, l’amministrazione Clinton fece costruire l’attuale muro alto tra i cinque e gli otto metri. Sotto la presidenza Trump furono aggiunti rotoli di filo spinato. Una città dallo stesso nome, tagliata in due: 20’000 persone abitano nella parte americana (Nogales, Santa Cruz), 260’000 in quella messicana (Nogales, Sonora). Quotidianamente negli Stati Uniti entrano dal Messico i treni merci e i lavoratori considerati essenziali (che lavorano soprattutto nella ristorazione e albergheria). Ma è oltre il confine che la crisi migratoria e principale tema di campagna elettorale diventa emergenza, soprattutto umanitaria.
La mensa del centro d’accoglienza dell’Iniziativa Kino a Nogales, in Messico
Dal 2008 l’iniziativa Kino si occupa di dare assistenza e alloggio ai migranti che giungono al confine. Vi lavorano quasi quaranta persone e un’ottantina di volontari. Nel 2023 vi hanno alloggiato 3’657 persone; quest’anno sono un po’ meno (1’783 nei primi sette mesi) e chi si ferma in cerca di aiuto ora sono soprattutto coloro che da giugno vengono respinti dagli Stati Uniti. Sandra viene dalla città di Ixtapan de la Sal, in una regione controllata dal Cartello dei narcotrafficanti di Sinaloa. Come molti ospiti del rifugio vorrebbe che le sue tre figlie possano crescere, sicure, negli Stati Uniti. “Sono stata espulsa, spiega, ma ora voglio vedere cosa si può fare, perché io non posso più tornare nel mio paese”. Stesse parole che condivide Maira Alejandra. Anche lei ha tre figlie e un bebè in grembo. “Vorrei solo raggiungere mia madre in California, dice singhiozzando, sono 24 anni che non la vedo. Rispetto la decisione del governo americano, ma vorrei che si capisse un po’ di più la situazione in cui viviamo noi”.
l muro di Nogales visto dalla parte messicana del confine)
Testimonianze di ostinazione e coraggio di chi cerca di fuggire povertà e violenza. Di chi vorrebbe ricordare che la questione migratoria non è solo un problema di sicurezza. Negli Stati Uniti vivono oltre 37 milioni di persone d’origine messicana. L’ultima grande riforma del sistema di immigrazione fu varata sotto la presidenza Reagan nel 1986, 38 anni fa.
Massimiliano Herber