USA: l’incognita del voto afroamericano

Andrea Smith è la moglie di un pastore evangelico della periferia di Atlanta, in Georgia, uno dei 7 “swing state” decisivi per la conquista della Casa Bianca. Andrea è afroamericana ed è candidata al parlamento locale per il partito repubblicano. Il suo slogan: America First!

“Trump porta un messaggio di unità, mentre con Kamala Harris andiamo verso il comunismo” mi racconta, seduti sui banchi della piccola chiesa. Storicamente l’elettorato “black” ha sempre votato in modo compatto per il partito democratico, ma negli ultimi anni - in particolare dall’avvento di Donald Trump - si assiste a un lieve, ma costante spostamento verso il partito repubblicano. 

“È una tendenza che riguarda in particolare i giovani oppure le persone che andranno a votare per la prima volta” mi spiega Bernard Fraga, docente alla Emory University e autore del libro The Turnout Gap, che ha analizzato l’evoluzione nei decenni del voto delle minoranze.

Nel 2020 in Georgia Joe Biden ha raccolto l’88% del voto afroamericano, conquistando lo Stato. Una percentuale che Kamala Harris sembra incapace di ottenere. “Per troppo tempo il partito democratico ha dato per scontato il nostro voto, ma poi non ha fatto quasi nulla per la nostra comunità” mi dice C.J., 45 anni, incontrato in uno dei quartieri più poveri della capitale. Downtown Atlanta, con i suoi scintillanti grattacieli, è a dieci minuti di automobile soltanto, ma sembra davvero di essere in un altro continente: strade piene di buche, sporcizia, un senso di desolante abbandono. Molti afroamericani sono ormai disillusi nei confronti della politica.

In Georgia il 33% dell’elettorato è afroamericano, la proporzione più ampia del paese dopo il Mississippi. E l’incognita sul voto “black” rappresenta per Kamala Harris - origini afroamericane e indiane - un paradossale, imprevisto grattacapo.