La sostituzione del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba è la più grande novità del rimpasto governativo voluto dal presidente Volodymyr Zelensky. La girandola delle poltrone era stata annunciata dallo stesso capo dello Stato ormai un paio di mesi fa e in questo senso non si tratta di una sorpresa. Di cambiamenti sostanziosi dal sapore politico inoltre se ne erano in ogni caso già visti, da quando è iniziato il conflitto nel febbraio del 2022: lo scorso anno Zelensky aveva sostituito il ministro della Difesa Oleksii Reznikov con Rustem Umerov e qualche mese fa era stata la volta del capo delle forze armate Valery Zaluzhny, il cui posto è stato preso da Oleksandr Syrsky.
Gli avvicendamenti, sia a livello politico che militare, sono sempre stati quindi molti, anche se questa volta sono tanti e tutti insieme. Negli ultimi due anni le direzioni ai ministeri sono cambiate una decina di volte, molte sono state anche le sostituzioni all’interno dell’ufficio presidenziale, dove Andrey Yermak, capo dell’amministrazione e alter ego di Zelensky, ha acquisito sempre più potere ed influenza. Anche il cerchio magico del presidente ha perso qualche pezzo, come il consigliere Olexey Arestovich dimessosi nel 2023 e trasformatosi ora in un rivale politico, e per ultimo, in questa tornata, Rostislav Shurma, vice di Yermak. Gli equilibri nelle stanze del potere non sono insomma più quelli di prima.
Un nuovo capitolo?
Zelensky, a giustificazione del rimpasto, ha detto in sostanza che bisogna iniziare un nuovo capitolo, senza però specificare perché. L’impressione è che, come nel settembre del 2023, quando ormai era chiaro che la controffensiva ucraina era fallita, i cambiamenti arrivino in un momento di difficoltà, sia al fronte che a Kiev. Il capo dello Stato ha quasi dimezzato i consensi, scesi dall’oltre 90% all’inizio del conflitto a poco più del 50%; i malumori sono cresciuti, sia tra l’elettorato che in Parlamento, e anche tra le varie correnti della maggioranza. Probabilmente il presidente Zelensky vuole dare l’idea, sia all’interno che agli alleati occidentali, di avere la situazione sotto controllo, ma rischia di sortire l’effetto contrario. La realtà è infatti quella che non collima non la narrazione ufficiale.
Le difficoltà sul terreno
Il tema centrale della questione è l’incursione in territorio russo che va avanti ormai da un mese, senza però aver prodotto risultati concreti, se non quello di aver scoperto il fronte nel Donbass e favorito l’avanzata russa. L’operazione a sorpresa è parsa sin dal suo inizio un azzardo, sia dal punto di vista militare che politico. Anche a Kiev i dubbi sono stati immediati e ciò, al di là dell’euforia della prima settimana, ha rafforzato le critiche interne, sia nei confronti di Zelensky che del generale Syrsky, che potrebbe essere il prossimo a fare le valigie. L’andamento del conflitto influisce sui giochi di potere interni e sulle nomine, lo si è visto bene nel recente passato: in questo caso sarebbe già pronta la promozione per Kirilo Budanov, che da capo dell’intelligence militare potrebbe passare al comando di tutte le forze armate.
Mesi difficili
Se il rimescolamento delle carte indica più la debolezza che la forza politica del presidente e segnala il contesto più problematico che favorevole sul terreno, allora è evidente che a Kiev le prossime settimane e i prossimi mesi saranno più difficili che facili: il nodo degli aiuti occidentali e del supporto incondizionato degli Stati Uniti sarà sciolto non prima di novembre, quando si saprà il nome del nuovo inquilino della Casa Bianca; la possibilità di colpire obbiettivi in territorio russo, di cui si sta discutendo nelle cancelliere occidentali, potrebbe servire a Kiev ad arginare le difese, non a ribaltare l’andamento della guerra; il piano, avanzato dallo stesso Zelensky a luglio, di arrivare a una nuova conferenza di pace con la partecipazione della Russia entro novembre, è in sostanza congelato.
Da qualche tempo si rincorrono inoltre le voci, incastonate tra mezze verità e la solita buona dose di disinformazione su tutti lati, che il sostegno diretto a Zelensky da parte di Washington sarebbe giunto al minimo e si starebbero già cercando alternative per il futuro prossimo. I rimpasti servono anche alle varie correnti di potere per piazzare le proprie pedine e se anche dare scacco al re è complicato ci si prepara per ogni evenienza.