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Ucraina, iniziativa sul terreno in mano russa

Le dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky sul contrattacco a Kursk, contrastano soprattutto con la situazione nel Donbass: l’area sotto controllo russo si è allargata

  • Ieri, 06:06
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I russi contrattaccano nel Kursk

Telegiornale 06.01.2025, 12:30

  • AP
Di: Stefano Grazioli 

Cinque mesi dopo l’inizio dell’incursione di Kursk, cominciata all’inizio di agosto nel 2024, l’Ucraina ha annunciato una nuova offensiva nella regione russa oltreconfine. Mosca ha già affermato di averla contenuta e a sua volta ha dichiarato di aver progredito nel Donbass, entrando a Kurakhove, cittadina ad ovest di Donetsk, da mesi obbiettivo delle truppe del Cremlino insieme a Pokrovsk, poco più a nord. Nel quadro della guerra di logoramento che si sta avviando alla chiusura del terzo anno, la Russia ha accelerato la progressione verso occidente proprio dalla scorsa estate, quando Kiev ha spostato varie brigate sul fronte di Kursk: Mosca, che da settembre ha recuperato circa la metà del territorio inizialmente conquistato dall’Ucraina, ha prediletto una tattica con tempi lenti nel respingimento, anche con l’aiuto di rinforzi dalla Corea del Nord, e alzato comunque il ritmo di avanzamento nel Donbass, lasciato in parte scoperto da Kiev.

Sostegno occidentale insufficiente

Le dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky sul nuovo contrattacco a Kursk, contrastano soprattutto con la situazione nelle regioni di Luhansk e Donetsk, con il perimetro dell’area sotto controllo russo che si è allargato in maniera rapida ed evidente nel corso del 2024. Le difese ucraine, con il sostegno occidentale che si è progressivamente assottigliato, hanno dovuto subire arretramenti, dando segnali di instabilità: anche gli sperati game changer, dai caccia F-16 arrivati in estate, ai missili a lungo raggio ATACMS e SCALP-Storm Shadow operativi da novembre, non hanno dato sino ad ora un impatto significativo. I problemi di mobilitazione a Kiev non sono stati risolti e la minor disponibilità di risorse umane è uno dei fattori che ha costretto l’Ucraina alla difensiva.

L’iniziativa militare è insomma saldamente nelle mani della Russia e l’offensiva ucraina di Kursk all’inizio di quest’anno appare più che altro un tentativo propagandistico di recuperare qualche posizione nella speranza che possa servire a un eventuale tavolo negoziale. Questa in sostanza l’impressione data sia dalle dichiarazioni di Zelensky che degli alleati occidentali, tra gli altri dell’ancora segretario di stato statunitense Antony Blinken. D’altro canto, al di là delle affermazioni russe sul blocco immediato dell’attacco, la questione delle future trattative e della posizione di forza con cui l’Ucraina possa presentarsi non è certo dipendente da qualche centinaio di metri quadrati occupati a Kursk, nonostante le apparenze e la narrazione.

Cremlino in vantaggio per i negoziati

Dal 2014, anno dell’avvio della prima guerra nel Donbass, la Russia ha conquistato circa un quinto del territorio ucraino, annettendo completamente o parzialmente cinque regioni. Da questa posizione, ha sottolineato più volte Vladimir Putin, si dovrà partire per eventuali negoziati. È un dato di fatto evidente che, data l’impossibilità, ammessa anche da Zelensky, di ripristinare militarmente i confini ucraini di undici anni fa, sarà il Cremlino a partire in vantaggio nel caso di eventuali colloqui nel breve periodo. La finestra del dialogo potrebbe aprirsi concretamente dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il 20 gennaio e sarà la comunicazione tra Washington e Mosca a definire il quadro di riavvicinamento per una prospettiva di soluzione del conflitto.

L’incognita del partito della guerra

Questo nelle migliore delle ipotesi, ammesso e non concesso che su entrambi i fronti prevalgano i fautori della pace. Sia in Russia, che in Ucraina e nello schieramento occidentale è sempre in agguato il partito trasversale della guerra: chi da Mosca vorrebbe prolungare il conflitto con la prospettiva di fagocitare l’intera Ucraina; chi tra Kiev, Washington e le cancellerie occidentali, vorrebbe ancora perseguire la sconfitta definitiva della Russia anche a costo di stuzzicare gli istinti nucleari del Cremlino. Il caso degli accordi di Istanbul, falliti nell’aprile del 2022, è emblematico di quanto la pace possa essere vicina e poi invece sfumare. Dopo 35 mesi di conflitto la cornice è però molto diversa da allora e le probabilità di soluzioni condivise sono comunque più alte. Incidenti di percorso permettendo.

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