ANALISI

Se la guerra è a colpi di gas

Focus, dopo il blocco a quello russo deciso dall’Ucraina, su un’arma che ha implicazioni di peso nelle dinamiche dell’attuale conflitto

  • Ieri, 07:06
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È in vigore da inizio anno lo stop, deciso da Kiev, al transito del gas russo verso l'Europa

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Di: Stefano Grazioli 

La guerra su larga scala in Ucraina, cominciata nel 2022, non si combatte solo militarmente: ha anche una serie di appendici e quella forse più importante è quella energetica. Il conflitto più evidente è quello del gas, che non si svolge infatti solo sul territorio dell’ex repubblica sovietica, ma su un tavolo più allargato, coinvolgendo l’intero continente. Anche dal punto di vista temporale, come del resto per il conflitto nel Donbass, iniziato nel 2014, le radici sono più profonde e vanno allo stesso modo a collocarsi nel periodo del crollo dell’Unione Sovietica e della transizione postcomunista, quando hanno iniziato a cambiare gli equilibri interni ai nuovi Stati divenuti indipendenti e quelli internazionali tra le varie potenze; inizialmente nel contesto di un mondo unipolare dominato dagli USA, più recentemente in quello multipolare dove altri grandi player hanno fatto capolino, in primo luogo la Cina.

L’invasione russa dell’Ucraina ha accelerato lo spostamento di questi equilibri, geopolitici ed energetici. E il gas è stato utilizzato come arma in due occasioni principali, non da Mosca, ma da Kiev. Nel primo caso, nel settembre del 2022, è stato un commando ucraino a sabotare il gasdotto sotto il Mar Baltico che collegava direttamente Russia e Germania, bloccando una delle tre vie principali dell’export russo verso l’Europa Occidentale. Anche se le indagini della procura tedesca hanno individuato almeno uno dei responsabili e nell’estate del 2024 è stato spiccato un mandato di cattura contro un ex ufficiale di Kiev, la questione della responsabilità politica non è stata chiarita; ma è evidente che un’operazione del genere non può essere stata attuata senza coinvolgere i vertici delle forze armate, dei servizi e ovviamente il presidente.

La decisione invece di non rinnovare il contratto di transito con la Russia e bloccare dunque il passaggio di gas verso la Mitteleuropa è stata presa proprio alla Bankova, il palazzo presidenziale di Kiev, da Volodymyr Zelensky, che dopo lo stop all’inizio di gennaio ha affermato che l’interruzione voluta dall’Ucraina è stata una delle più grandi sconfitte di Mosca. In realtà il Cremlino avrebbe preferito continuare a inviare oro azzurro verso Occidente, ma gli è stato impedito. Da tempo comunque la Russia ha reindirizzato parte dei flussi verso Oriente, in particolare verso la Cina, continua inoltre a pompare gas verso Turchia e i Balcani, senza contare l’export di GNL, gas naturale liquefatto, sia verso l’Europa che per altri Paesi del mondo.

L’arma del gas, utilizzata dalla Russia, spesso e volentieri nel recente passato, nei rapporti con le vecchie repubbliche sovietiche, è ritornata a funzionare adesso nel nuovo contesto creato dal blocco del flusso attraverso l’Ucraina, che se ha interessato solo leggermente Paesi come l’Ungheria o la Slovacchia, ha colpito molto di più la Moldova e la Transnistria, regione separatista autoproclamatasi indipendente all’inizio degli anni Novanta. Qui è scattato il modello attuato nel passato ad esempio in Bielorussia o Ucraina, con il tentativo di interferire nella politica interna attraverso lo strumento del gas. Alla base da un lato i rapporti sempre poco trasparenti nel settore energetico tra Mosca e le varie capitali, opachi e intaccati dalle relazioni oligarchiche tra gli attori in gioco su tutti i lati, e dall’altro sull’effettiva architettura di trasporto e distribuzione del gas che ha condizionato tecnicamente il sistema.

È questa la situazione attuale in cui sono finite Moldova e Transnistria, la prima guidata da una presidente filoccidentale, Maia Sandu, appena rieletta, e la seconda con il filorusso Vadim Kransoselsky a tessere i tradizionali buoni rapporti con Mosca. La Russia, che da un lato ha dovuto subire il blocco ucraino, dall’altro ha rispolverato una vecchia questione di debiti per impedire le forniture alla Moldova anche attraverso la Turchia. Lo scopo evidente è quello di destabilizzare il quadro a Chisinau, dove quest’anno si ritornerà alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Nella piccola repubblica ex sovietica, candidata ad entrare nell’Unione Europea, le forze filorusse godono ancora di molto consenso e anche il recente referendum voluto dalla presidente per confermare il percorso europeista è stato vinto per il rotto della cuffia.

Se la Moldova può in ogni caso trovare nuovi approvvigionamenti direttamente sul mercato europeo, la Transnistria è invece tagliata fuori, sacrificata dalla Russia. Dai filoccidentali di Chisinau è stata tesa una mezza mano ai filorussi di Tiraspol con l’offerta dell’acquisto di gas ai prezzi attuali, che però sono sempre troppo alti per chi lo ha ricevuto gratis da Mosca. Il risultato è al momento uno stallo in cui la popolazione su entrambi i lati del Dnestr sta vivendo in pieno inverno una crisi economica e sociale senza precedenti. E senza una soluzione immediata all’orizzonte.

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Il gas russo non passa più dall'Ucraina

Telegiornale 01.01.2025, 11:55

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