L’analisi

Ucraina, una conferenza sulla pace tutta in salita

Si svolgerà a metà giugno e non sembra, per ora, riscuotere successo; la Cina avrebbe declinato l’invito e anche altri paesi strategici stanno tentennando. Al quadro si aggiunge una NATO divisa e una situazione interna difficile

  • 1 giugno, 06:49
  • 3 giugno, 09:06
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La Conferenza si svolgerà in Svizzera, al Bürgenstock, nella speranza che non rimangano troppe sedie vuote

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Di: Stefano Grazioli 

A poche settimane dalla Conferenza sulla pace sul Bürgenstock (15-16 giugno) il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito ancora una volta che le proposte di tregua, o presunte tali, filtrate dal Cremlino, non possono essere prese in considerazione e Kiev rimane ferma sulle proprie posizioni, per cui colloqui di pace diretti con Mosca potranno iniziare solo dopo il ritiro delle truppe russe dal Donbass e dalla Crimea. Secondo il piano di pace ucraino, presentato già nel 2022 e che costituirà la base di partenza per l’incontro in Svizzera, i negoziati sono impossibili iniziando dallo status quo e ciò rende impossibile il dialogo in questo momento: d’altra parte la Russia, non invitata sul lago di Lucerna, ha liquidato la conferenza come inutile, proprio perché ha definito senza senso ogni tipo di trattativa senza una parte in causa. Vladimir Putin nelle ultime settimane ha da un lato accennato alla possibilità di compromessi, alle condizioni russe, dall’altro ha criticato fortemente l’appuntamento organizzato dalla Confederazione, accompagnato dalla propaganda di casa che ha preso di mira anche la presidente Viola Amherd. I capi di Stato di Ucraina e Russia hanno lavorato insomma per rafforzare a livello interazionale il proprio ruolo tattico e strategico alla vigilia della conferenza, con risultati alterni.

L’assenza cinese

L’attenzione è focalizzata soprattutto su Zelensky, promotore dell’iniziativa coordinata dalla Svizzera: gli sforzi diplomatici sia di Kiev che degli alleati occidentali di coinvolgere la Cina, principale alleato della Russia su un fronte geopolitico che va oltre il conflitto nell’ex repubblica sovietica, sono apparentemente falliti. Le notizie che Pechino non manderà rappresentanti al Bürgenstock sono sicuramente una sconfitta per l’Ucraina, che dovrà anche confrontarsi con l’assenza di altri attori importanti, visto che sino ad oggi mancano le conferme di Stati come Sudafrica, Brasile o Turchia, rappresentanti di una fascia che non è allineata con l’alleanza occidentale o comunque, come Ankara, gioca una partita a sé anche all’interno della NATO. Non ci saranno gli esponenti delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, che paiono aver preso una posizione netta a favore di Mosca, rafforzando il blocco euroasiatico. Alla fine di maggio dei 160 inviti da parte della Confederazione circa 70 hanno ricevuto una risposta positiva. Incerta però anche la presenza del presidente statunitense Joe Biden, che potrebbe rimanere negli USA, impegnato sul fronte interno. Confermata invece quella di alcuni leader europei e della Commissione di Bruxelles.

La NATO divisa

Se l’assenza di Pechino, se sarà definitivamente confermata, e quella di altri paesi non allineati indeboliscono dunque la sua posizione, non riuscendo allargare il fronte antirusso, anzi vedendolo rafforzato, Zelensky deve anche fare i conti con la frammentazione di quello occidentale sulla questione dell’utilizzo dei missili a lunga gittata contro la Russia. Gli ultimi giorni hanno evidenziato una spaccatura evidente all’interno della NATO tra paesi che sono a favore di attacchi ucraini in territorio russo, dalla Francia ai paesi baltici passando per la Polonia, e quelli che invece hanno mostrato più cautela o si sono espressi in maniera contraria, dalla Germania, che non fornirà comunque i missili Taurus richiesti, all’Italia. Gli stessi Stati Uniti hanno assunto una posizione criptica, tra dichiarazioni confuse e contrastanti, tanto che la linea occidentale sulle precise regole di ingaggio, alla luce del fatto che Kiev colpisce da tempo direttamente in Russia non solo con droni, ma appunto con armi occidentali. rimane ancora poco chiara, tra l’ambiguità strategica e la mancanza di strategia. In entrambi i casi la cornice di sostegno incondizionato all’Ucraina rimane solida, ma nei dettagli Zelensky si trova sempre in credito nei confronti delle aspettative dichiarate: Kiev in questo momento del conflitto è costretta sulla difensiva e le promesse di aiuti in arrivo continuano a contrastare con la realtà sul campo. Anche da questo punto di vista la posizione del capo di Stato ucraino a difesa del piano di pace annunciato risulta poco solida.

Le difficoltà interne

A rimarcare la fragilità di Zelensky, con l’incontro sul Bürgenstock che arriverà in un momento critico per le truppe ucraine sul fronte orientale, c’è anche la situazione politica ed economica interna. Se alla questione della legittimità dopo la scadenza del mandato a maggio non c’è alternativa, con le elezioni materialmente impossibili con il confitto in corso, il quadro generale del paese è in peggioramento, con la popolazione sempre più segnata dall’andamento della guerra. Secondo una ricerca della Banca Mondiale già nell’estate del 2023, quella che avrebbe dovuto segnare la controffensiva di Kiev, un quarto degli ucraini ha vissuto almeno temporaneamente al di sotto della soglia di povertà; solo grazie agli aiuti dell’Occidente l’Ucraina riesce ad andare avanti, con evidenti difficoltà. Per recuperare solidità e consensi interni, almeno sul breve periodo, Zelensky avrebbe bisogno che la conferenza sulla pace si trasformasse in un successo concreto: le premesse non sono però le migliori. 

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Ucraina, Biden dà il via libera all'uso di armi

Telegiornale 31.05.2024, 12:30

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