Il viaggio di Volodymyr Zelensky negli Stati Uniti arriva in un momento molto complicato per l‘Ucraina. Le difficoltà non sono tanto dal punto vista militare, visto che sul terreno la situazione è abbastanza stabile, con i fronti quasi immobili, sia quello orientale nel Donbass che quello meridionale a Kherson. Il vero problema in questa fase del conflitto sono i costanti bombardamenti russi che colpiscono le infrastrutture energetiche e stanno mettendo in ginocchio la popolazione, in un inverno che il presidente ucraino ha già definito il più difficile della storia. Zelensky va quindi alla Casa Bianca a discutere di nuovi aiuti economici e militari, che comprendono anche l’invio dei missili Patriot, ma anche a chiarire personalmente con Joe Biden le incomprensioni che ci sono state negli ultimi mesi e hanno creato qualche tensione tra Washington e Kiev.
Il periodo per Zelensky è delicato: va mostrata, sia sul lato interno ucraino che nei confronti della Russia a livello internazionale, la solidità dell’alleanza transatlantica. Il sostegno statunitense in questa guerra iniziata ormai nove mesi fa non è certo in dubbio, anzi è costantemente aumentato, ma alcuni episodi hanno suscitato qualche screzio tra l’Ucraina aggredita e i suoi principali sostenitori, gli USA appunto. Il primo, quello più evidente, che ha rivelato come le frequenze non siano sempre ben sintonizzate, è stato quello della scorsa estate, con l’assassinio a Mosca di Daria Dugina, la figlia di Alexander Dugin, filosofo vicino al Cremlino. La Russia ha accusato subito l’Ucraina, che prima ha negato e ha sostenuto varie tesi, dal complotto interno all’azione di gruppi terroristici di resistenza, poi sono stati gli Stati Uniti a intervenire e a confermare che si era trattato invece di un’operazione dei servizi segreti di Kiev. Segnale che a Washington questo tipo di attacchi diretti sul suolo russo non sono certo apprezzati e l’escalation in questa direzione si può anche evitare.
Poi c’è stato anche l’episodio a novembre del missile ucraino finito per sbaglio in Polonia, paese membro dell’Alleanza Atlantica, che ha fatto scattare l’allarme per un allargamento del conflitto oltre i confini dell’ex repubblica sovietica. Zelensky ha insistito molto sul fatto che si trattasse di un razzo russo, una provocazione pianificata da Mosca, anche dopo che Biden e il segretario della NATO Jens Stoltenberg avevano già scagionato la Russia e parlato di un incidente per un missile ucraino che aveva mancato il bersaglio. Anche in questo caso gli Stati Uniti hanno dovuto gettare acqua sul fuoco, mettendo le cose subito in chiaro e correggendo la versione di Kiev. Caso in realtà molto più grave di quello di Dugina, perché se nel primo gli Stati Uniti, scoprendo le carte a Kiev, hanno voluto mandare un segnale ben preciso sui limiti da non oltrepassare, nel secondo Zelesky ha cercato consapevolmente, contraddicendo anche gli alleati, di forzare la versione dei fatti in chiave propagandistica, tirando così un po’ troppo la corda.
Al di là delle contingenze passate, l’incontro alla Casa Bianca tra Zelensky e Biden servirà anche per gettare uno sguardo probabilmente sulla strategia comune per i prossimi mesi. L’inverno sta congelando il conflitto, si combatte duramente intorno a Bakhmut, dove i russi stanno facendo progressi minimi, ma gli ucraini continuano a resistere in quella che è la battaglia più lunga della guerra, cominciata all’inizio dell’estate. Gli obbiettivi dell’Ucraina, ripetuti dal presidente, sono quelli di eventuali trattative solo dopo il ritiro delle truppe russe e la riconquista anche della Crimea. Gli Stati Uniti sulla questione della penisola sul Mar Nero hanno espresso già i loro dubbi e il capo di stato maggiore al Pentagono Mark Milley ha parlato di probabilità basse di cacciare i russi da Sebastopoli, annessa già nel 2014, dove si trova la base della flotta russa.
I mesi invernali possono aprire una finestra per ricalibrare le tattiche e le strategie su tutti i fronti e per questo è necessario per Ucraina e Stati Uniti mettere da parte i fraintendimenti del passato e coordinare una linea veramente unitaria, sia politica che militare.